C’era attesa per le dichiarazioni di cordoglio da parte del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in seguito al duplice attentato al Parlamento iraniano e al Mausoleo dell’Imam Khomeyni, a Teheran. Nessun messaggio dal suo sempre molto attivo profilo Twitter, nessuna parola da Cincinnati, dove ha tenuto un incontro pubblico. Solo in serata, ore dopo gli attacchi e le dichiarazioni dei Capi di Stato e di governo mondiali, la Casa Bianca ha diramato un comunicato che ha fatto infuriare Teheran: “Piangiamo e preghiamo per le vittime innocenti degli attacchi terroristici in Iran e per il popolo iraniano che sta passando momenti difficili – si legge nello statement – sottolineiamo che i Paesi sponsor del terrorismo rischiano di diventare vittime del male che promuovono”. Parole definite “ripugnanti” dal Ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, e che contribuiscono a scavare un solco ancora più profondo nei rapporti tra l’Iran e gli Stati Uniti. Una distanza che Trump non ha mai nascosto di voler ricreare, dopo l’avvicinamento voluto dall’amministrazione Obama, ma che solo lui immaginava potesse diventare così grande.
Nonostante le reciproche accuse che Iran e Stati Uniti si sono scambiati nelle ultimi mesi, e che Trump aveva iniziato a lanciare già durante la campagna elettorale, ci si attendeva che il presidente intervenisse dopo i fatti di Teheran, come è prassi per un Capo di Stato e come lui stesso ha sempre fatto dopo ogni attentato, anche solo in maniera strumentale. Ad esempio, dopo gli attentati al London Bridge e al Borough Market, usati per sponsorizzare il Muslim Ban. Dal Presidente degli Stati Uniti, però, solo silenzio. Il messaggio è stato affidato al suo team alla Casa Bianca, segno che non si tratta di una delle consuete prese di posizioni personali del tycoon americano spesso corrette dalla Casa Bianca, ma di una linea politica condivisa e sposata dall’intero staff presidenziale. Una linea che ha eretto un muro tra Washington e l’Iran, con soddisfazione dell’Arabia Saudita, suo competitor nell’area mediorientale. “L’Iran respinge questa affermazione di amicizia da parte degli Stati Uniti – ha risposto Zarif – Mentre gli iraniani affrontano il terrorismo sostenuto dai clienti statunitensi (il riferimento è all’Arabia Saudita, ndr)”.
Il processo di graduale allontanamento tra gli Stati Uniti e la Repubblica Islamica è iniziato quando Trump era ancora un candidato per lo Studio ovale. In campagna elettorale ha attaccato la politica di Barack Obama in Medio Oriente, in special modo quell’accordo sul nucleare definito “il peggior affare mai fatto”. Da quel momento è partito un botta e risposta con Teheran che ha più volte invitato il presidente a far rispettare i termini stabiliti nel documento. Fino all’ultimo capitolo, il 19 aprile, quando Trump ha richiesto una revisione dei patti sul nucleare iraniano che, però, non ha ancora ottenuto. Agli inizi di febbraio, quando lo scontro tra i due Paesi era ormai ripreso, Trump lanciò un tweet minaccioso nei confronti di Tehran: “L’Iran – aveva scritto – sta giocando con il fuoco. Non si rendono conto di quanto il presidente Obama è stato gentile con loro. Io no!”.
Pronta la replica della Guida Suprema, Ali Khamenei: “Ringraziamo Donald Trump perché ci ha aiutato a mostrare il vero volto degli Stati Uniti – ha detto – Hanno messo le manette a un bambino di cinque anni (in riferimento a un’immagine circolata da un aeroporto statunitense dopo l’entrata in vigore del Muslim Ban, ndr). Il popolo risponderà durante le manifestazioni per l’anniversario della Rivoluzione, il 10 febbraio”. In quell’occasione, per le strade di alcune città iraniane vennero bruciate bandiere americane e lanciati gridi come “morte all’America”.
Ma se si cerca un casus belli che ha scatenato la ritrovata rivalità tra il membro dell’“Asse del male” e il “Grande Satana”, lo si trova in una delle ultime apparizioni di Trump: il viaggio in Medio Oriente, tra Arabia Saudita e Israele, del 20-24 maggio. Ѐ proprio da Riyad che Trump, spalleggiato dagli altri del trio del globo di luce, Re Salman e il presidente egiziano Abd al-Fattāḥ al-Sīsī, e forte dell’accordo da 110 miliardi di dollari per la vendita di armamenti all’Arabia Saudita, torna ad attaccare il Paese degli ayatollah: “Sostiene il terrorismo e ha aiutato Bashar al-Assad a compiere atti deprecabili in Siria. Il regime iraniano ha fatto soffrire troppo il suo popolo, tutte le nazioni dovranno isolarlo e pregare che arrivi il giorno in cui il popolo iraniano avrà il governo giusto che merita”, ha dichiarato. “Per decenni – ha continuato promuovendo una coalizione di Paesi che estirpi il terrorismo – l’Iran ha portato distruzione in Israele e morte in America”. Anche in quel caso, la risposta è arrivata attraverso le parole del portavoce del Ministro deli Esteri, Bahram Qasemi: “L’America la deve smettere di fornire armi ai principali sponsor del terrorismo”, ha dichiarato riferendosi all’accordo per la vendita di armi a Ryad.
Oggi, dopo la rottura diplomatica tra il Qatar e un gruppo di Paesi arabi costituito da Arabia Saudita, Yemen, Egitto, Emirati Arabi e Bahrein, con l’accusa di sostegno al terrorismo che, però, va letta più come una punizione per lo scarso allineamento di Doha alle politiche saudite, il supporto offerto ai Fratelli Musulmani e la collaborazione con l’Iran, il comunicato della Casa Bianca segna un nuovo episodio nello scontro che rischia di polarizzare il conflitto in corso per l’egemonia in Medio Oriente.