Assoluzione in primo grado, in appello, e infine in Cassazione. I supremi giudici hanno respinto il ricorso della procura generale di Palermo contro la sentenza nei confronti dell’ex generale dei Carabinieri, Mario Mori, e del colonnello Mauro Obinu, imputati di favoreggiamento aggravato alla mafia, come fa sapere l’avvocato Basilio Milio, legale del generale. Anche gli ermellini ritengono quindi che non ci fu un mancato blitz e nessun protesse la latitanza del boss Bernardo Provenzo: qualsiasi cosa sia avvenuta in quel casolare di Mezzojuso il 31 ottobre del 1995, non è da considerarsi reato.
“Sono soddisfatto, certo, ma devo dire che, avendo la coscienza a posto, sono sempre stato molto tranquillo” dichiara Mori all’Ansa. Da parte di Mori nessuna recriminazione per gli anni trascorsi nelle aule di giustizia a difendersi da un’accusa poi rivelatasi infondata: “Ho letto le carte, mi sono documentato. Non ho perso tempo, anzi l’ho guadagnato“. “La Suprema Corte con questa sentenza ha suggellato quelle che sono state le valutazioni espresse dai giudici di merito su queste vicende, condensate in due monumenti del diritto di circa 1800 pagine, le sentenze di primo e di secondo grado. Oggi si è realizzata in primo luogo una vittoria delle Istituzioni e, poi, anche quella degli imputati, generale Mori e colonnello Obinu, i quali hanno sempre servito fedelmente questo Paese ed hanno dato, con il loro comportamento processuale e con la rinuncia alla prescrizione, la ennesima prova di tale loro correttezza, attaccamento allo Stato e fiducia nella Giustizia. Questa sentenza rappresenta anche la sconfitta di teorie e teoremi che necessariamente soccombono davanti ai fatti”, dice invece l’avvocato Basilio Milio, legale di Mori.
Secondo l’accusa, nell’ottobre del 1995, pur essendo a una passo dalla cattura del padrino mafioso latitante grazie alle rivelazioni del confidente Luigi Ilardo, non fecero scattare il blitz che avrebbe potuto portare all’arresto del capo mafia garantendogli un’impunità che sarebbe durata fino al 2006. La Corte d’Appello aveva confermato in pieno l’assoluzione di primo grado con la formula “perché non costituisce reato“.
Un processo complesso quello per il mancato arresto di Provenzano cominciato anni fa. A trascinare Mori alla sbarra nel 2007, insieme al suo sottoposto Obinu, furono le dichiarazioni del colonnello Michele Riccio che, tramite il confidente Luigi Ilardo, avrebbe ricevuto la “soffiata” di un summit organizzato da Provenzano nelle campagne di Mezzojuso. Il via libera per effettuare il blitz ed arrestare il boss corleonese non sarebbe mai arrivato, e Provenzano rimase latitante fino all’11 aprile del 2006. Poco tempo dopo il confidente Ilardo venne assassinato in un agguato rimasto ancora oggi avvolto dal mistero, senza avere avuto il tempo di diventare a tutti gli effetti un collaboratore di giustizia. I due militari in passato avevano denunciato Riccio, già scagionato dal gip Maria Pino, che aveva messo nero su bianco le “plurime omissioni e inerzie del Ros dei carabinieri finalizzate a salvaguardare la latitanza di Provenzano”.
Il processo sulla mancata cattura di Provenzano incrocia il processo sulla Trattativa tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra, attualmente in corso a Palermo davanti alla corte d’assise. Nel novembre del 2011 i pm palermitani avevano infatti contestato a Mori di non aver volutamente arrestato Provenzano “per assicurare a sé e ad altri il prodotto dei reati di cui agli articoli 338, 339, 110 e 416 bis” ovvero di non aver messo le manette a Binnu ‘u Tratturi in nome del patto sotterraneo siglato con Cosa Nostra. Nel processo d’appello, però, la procura generale aveva sganciato il procedimento dalla stessa Trattativa, modificando la propria tesi accusatoria. Alla fine di una lunga requisitoria, infatti, il procuratore generale Roberto Scarpinato e il sostituto pg Luigi Patronaggio avevano chiesto ai giudici di condannare Mori e Obinu rispettivamente a quattro anni e sei mesi e a tre anni e sei mesi di carcere. Una pena dimezzata rispetto alle richieste avanzate nel processo di primo grado (nove anni per Mori e sei e mezzo per Obinu), dovuta al fatto che questa volta l’accusa aveva deciso di rinunciare a due importanti aggravanti contestati in precedenza.
Provenzano, nella ricostruzione della procura, è il ragioniere, il regista della Trattativa, che dopo aver “venduto” Riina dirige e orchestra la coabitazione di Stato e anti Stato sullo stesso territorio. Stando alla sentenza di oggi, viene quindi a mancare uno degli oggetti principali su cui si fonda il dibattimento parallelo sul patto tra Cosa Nostra e lo Stato. Per gli ermellini esisterebbe quindi quell’immunità che sarebbe stata garantita dai Ros a Provenzano dopo il biennio stragista che colorò di sangue e tritolo la storia recente di questo Paese.