Ci sono episodi, apparentemente marginali, che hanno una capacità di rivelare aspetti che spesso restano nascosti.
Il riferimento è a quanto accaduto ieri sera ad Adelaide, in Australia, durante una partita di qualificazione per i Mondiali di calcio. L’Arabia Saudita è la squadra ospite. L’arbitro fischia un minuto di silenzio, in ricordo alle vittime di Londra. Gli australiani si dispongono abbracciati nel cerchio di centro campo. I giocatori sauditi, invece, ignorano la sospensione e, mentre tutti sono fermi, continuano con gli esercizi di riscaldamento. Non diversamente, si comportano i giocatori della panchina che restano seduti senza alzarsi.
Essendo un comportamento di rifiuto, praticato da tutti, è evidente che sia stata data un’indicazione ai giocatori prima della gara. E’ più difficile credere che i giocatori si siano messi d’accordo tra loro, in ogni caso non sarebbe una situazione meno grave e preoccupante.
L’atto risulta particolarmente oltraggioso nei confronti di vittime innocenti. E’ davvero l’atteggiamento spietato di chi guarda con sufficienza il nemico morto in guerra.
Si è spesso richiamata la necessità che siano le comunità islamiche a porsi in prima linea nella condanna di questo terrorismo che strumentalizza la religione. Impegni in questa direzione, anche nella comunità musulmana italiana ci sono stati, ma un episodio come questo vanifica tutti gli sforzi. La sua risonanza mondiale ci segnala l’opposto e, cioè, che esiste una contiguità morale tra l’ostentata indifferenza per le vittime e le azioni degli attentatori.
E’ un aspetto che agli italiani ricorda la torbida ambiguità con la quale, in alcuni momenti, in certi ambienti non terroristici dell’estrema sinistra, si guardava alle Brigate rosse come “compagni che sbagliano”. In questo caso non sembrerebbero nemmeno “fratelli che sbagliano”, ma fratelli che hanno compiuto il loro dovere.
Questo comportamento mostra anche la slittata percezione dai precetti religiosi islamici. Il Corano, come altri testi sacri, è pieno di richiami all’amore, al perdono, alla pace, alla tolleranza: “Non vi sia costrizione nella fede” (Suma II, versetto 256). Il Corano condanna anche il suicidio ammonendo che, chi compie questo gesto, è destinato a ripeterlo in eterno, all’inferno.
Di fronte a questo segnale mondiale di ostentata indifferenza, i lupi solitari e i lugubri emulatori di morte non si sentono affatto delegittimati.
Sono poi arrivate le scuse della Federcalcio saudita e la precisazione che questo atto non è nella loro cultura. Il raccoglimento e la preghiera sono però atteggiamenti universali. La toppa appare peggio del buco.
Se si vuole trarre un’altra lezione, si pensi al ruolo dell’Arabia Saudita come nazione “amica”. Si tratta di uno Stato che, nei suoi atteggiamenti, ha sempre giocato ambiguamente su due piani: la legalità, l’alleanza con gli Stati Uniti da un lato, ma anche un interesse a finanziare l’integralismo, specie se in chiave antisciita.
Qualcuno può spiegare a Donald Trump come si gioca all’Amico del giaguaro? Purtroppo, alla pacifica convivenza, questi amici non servono.