In vista delle elezioni amministrative dell'11 giugno la tensione in casa dem sta salendo. Il candidato Vincenzo Antonio Ciconte è indagato per peculato, ma non vuole domande sull'inchiesta. Piuttosto, ai microfoni del fattoquotidiano.it, si scaglia contro quello che era considerato il "volto nuovo" Fiorita (che però il partito ha scelto di non candidare): "Voi scorretti, difendete i paladini dell'antimafia"
Poteva essere la volta buona per il Pd. Le condizioni c’erano a Catanzaro ma ha preferito non “correre rischi”. Poteva puntare su un volto nuovo come Nicola Fiorita, un docente universitario vicino a Libera e al mondo dell’antimafia, e non lo ha fatto. Forse per non essere da meno del centrodestra che ha candidato il sindaco uscente Sergio Abramo, il Pd ha preferito l’usato “sicuro”. E indagato. Un pacchetto chiuso, e “buono per tutte le stagioni”, che risponde al nome di Vincenzo Antonio Ciconte. Avvicinato dal fattoquotidiano.it, piuttosto che dire la sua sulle accuse di peculato che gli contesta la Procura di Reggio Calabria, il consigliere regionale del Pd non risponde e attacca “i paladini dell’antimafia” e i giornalisti.
Ma andiamo con ordine: il candidato del movimento “Cambiavento” Nicola Fiorita doveva essere la prima scelta del centrosinistra e del Partito democratico per le comunali di Catanzaro.
Nonostante tutti, in Calabria, facciano finta che non ci sia stato alcun avvicinamento, in realtà Pd e Fiorita si sono parlati in vista delle elezioni dell’11 giugno. Non è un caso, infatti, che le iniziative di Fiorita fino a pochi mesi fa avevano registrato anche il plauso e la presenza di esponenti del Pd e pure di qualche consigliere regionale come Arturo Bova che, per essersi avvicinato troppo, oggi è inviso ai suoi stessi compagni di partito.
Il dialogo, però, è durato poco. Giusto il tempo di capire che il professore dell’Unical stava facendo sul serio e non si sarebbe prestato al semplice ruolo di portatore di acqua al mulino del Pd.“Avevamo chiesto discontinuità, trasparenza e legalità. Non si dovevano fare alleanze con tutti”. Fiorita pretendeva una rottura con il passato e con le logiche clientelari che hanno incancrenito Catanzaro e la Calabria. Paletti che il Partito democratico probabilmente non ha gradito e “si è chiuso a riccio”. Risultato: Nicola Fiorita corre da solo contro il Pd che schiera il consigliere regionale Vincenzo Antonio Ciconte, e contro Forza Italia che ricandida per la quarta volta il sindaco uscente Sergio Abramo.Il Movimento cinque stelle ha presentato Bianca Laura Granato, ma i rumors della città capoluogo di Regione danno Nicola Fiorita come il candidato che, con le sue tre liste, a pochi giorni dall’apertura dei seggi impensierisce di più le coalizioni favorite di centrodestra e di centrosinistra.
Ciconte e Abramo si presentano alle elezioni con un esercito di candidati. Sono quasi 400, infatti, gli aspiranti consiglieri spalmati nelle “sole” 11 liste a sostegno di Ciconte che, pur di vincere, si è imbarcato di tutto e tutti, compresi 8 candidati che cinque anni fa erano stati eletti con il centrodestra. Adesso, la priorità per il Pd è quella di vincere al primo turno impedendo così a Fiorita di ribaltare gli equilibri nel ballottaggio in caso riesca ad arrivare secondo. Una cosa è certa: rinunciando a Fiorita, il Partito democratico e il centrosinistra in generale hanno perso un’altra occasione per scegliere un candidato a sindaco che non abbia problemi giudiziari o che, quantomeno, non si rivolga ai giornalisti “accusandoli” di “difendere i paladini dell’antimafia”.
Vincenzo Antonio Ciconte infatti è l’ex assessore della giunta Oliverio, coinvolto nel processo “Rimborsopoli” nato da un’indagine della guardia di finanza che aveva accertato irregolarità nella gestione dei rimborsi del parlamentari regionali. Dopo averlo interrogato, nei suoi confronti la Procura di Reggio Calabria aveva chiesto l’archiviazione ma il gip Olga Tarzia, piuttosto che accogliere la richiesta dei pm, ha ritenuto gli elementi raccolti dalle fiamme gialle meritevoli di essere approfonditi e ha imposto l’imputazione coatta di Ciconte. L’esponente del Pd, quindi, si trova sotto processo assieme agli altri 25 politici calabresi accusati di peculato. Per tutti il rinvio a giudizio potrebbe arrivare dopo le amministrative
Prima c’è lo scoglio dell’11 giugno e la tensione in casa Pd sta salendo. Ciconte non vuole domande sulle indagini che lo riguardano e neppure sui guai giudiziari di Sergio Arbamo. Piuttosto, ai microfoni del fattoquotidiano.it, si scaglia contro Fiorita e il compagno di partito Arturo Bova.
“Lei sa benissimo – dice – che questi sono problemi inerenti a situazioni particolari”. Garantismo per sé, giustizialismo per gli altri con tanto di allusioni. Senza mai citare i destinatari delle sue invettive, infatti, Ciconte è un fiume in piena: “I paladini dell’antimafia che lei difende dovrebbero vedere nelle proprie radici e nei propri amici”. Il primo riferimento è a Nicola Fiorita mentre il secondo è per Arturo Bova, fino al 2012 socio di un presunto boss arrestato nell’inchiesta “Jonny” contro la cosca Arena. La notizia è apparsa negli ultimi giorni e Bova si è subito autosospeso dalla Commissione regionale Antimafia. “Il presidente della Commissione antimafia è indagato – sono le parole del candidato del Pd – Non solo è indagato, ha problemi seri”. Al momento, però, quanto affermato da Ciconte non trova riscontro nelle carte della Procura di Catanzaro. Almeno in quelle depositate nel fascicolo dell’operazione “Jonny”. Se da una parte, infatti, è vero che in passato Arturo Bova aveva quote di una società in cui compariva anche un presunto boss, dall’altra non sarebbe attualmente indagato.
“Lei non è corretto” ha aggiunto il candidato dem prima di interrompere l’intervista. A meno che Ciconte non abbia notizie esclusive e coperte dal segreto istruttorio (e in questo caso dovrebbe recarsi in Procura a fare una denuncia, ndr), il suo sfogo è l’ennesima dimostrazione di come il Pd, a queste latitudini, considera evidentemente più grave “difendere i paladini dell’antimafia” che candidare gli indagati a sindaco di Catanzaro. Scelta che, tra l’altro, ha fatto anche il centrodestra ripresentando il sindaco uscente Sergio Abramo di Forza Italia. Pure lui, infatti, è sotto processo. È stato coinvolto nell’affaire sull’avvelenamento della diga dell’Alaco ma i reati contestati nel 2018 andranno prescritti. Tuttavia questo non è l’unico conto con la giustizia per Abramo il cui nome compare anche nel processo “Multopoli”, scaturito da un’inchiesta della Digos che ha scoperto come i politici locali annullavano le contravvenzioni fatte dai vigili agli amici degli amici. “Preferisco parlare di programmi e di futuro non dei problemi giudiziari”. Rispetto a Ciconte, le domande sui processi non turbano l’aplomb inglese di Sergio Abramo che sull’inchiesta “Multopoli” replica: “È tutto nato da una mia protesta, con lettera scritta al comando dei vigili urbani, per aver multato le automobili durante la partita Catanzaro-Ascoli”.