Era in auge nei tumultuosi anni 70 del Novecento l’idea che la secolarizzazione portasse alla “morte di Dio”. In realtà con il volgere dei decenni si è scoperto che l’avanzare inesorabile della laicizzazione della vita quotidiana si accompagna ciò nonostante ad una persistenza del bisogno di “sacro”, che come un fiume carsico emerge in manifestazioni molteplici. Può diventare rifugio nella superstizione e nella magia, tuffo nella mistica orientale o cristiana, corsa verso la meditazione nelle sue forme più varie, ricerca di fusione olistica con la natura. Resta, in ogni caso, il bisogno prepotente di rompere la gabbia del quotidiano, almeno in certi momenti, cercando un “altrove”.

Segno del “sacro” può essere anche un evento apparentemente laico come l’ultimo giro di campo di Totti tra la folla in lacrime e delirio. Un rito in cui si intrecciava tutto: il trionfo dell’eroe e la sua “offerta” al pubblico, l’orgoglio e la solitudine del vincitore, l’esame di memoria che ognuno dei partecipanti ha fatto di venticinque anni della propria vita, l’apparizione della moglie bella e dei figli (icone di una felicità privata realizzata). Ma come in ogni autentico dramma sacro c’era anche la fragilità dell’eroe, che invoca “aiutatemi” e si avvia ad una partenza verso l’ignoto completata da un’oscura profezia di resurrezione “Continuerò…”.

Non meraviglia allora l’interesse provocato da una manifestazione ormai decennale come “I Teatri del Sacro”, che quest’anno si sposta da Lucca ad Ascoli Piceno, in una terra ferita dal terremoto. Scelta precisa, “perché non si tratta di ricostruire solo case, ma persone” come ha spiegato il vescovo Giovanni d’Ercole.

Nata sotto l’occhio benevolo della Chiesa italiana, la manifestazione si è rivelata libera da intenti apologetici e parrocchiali, sostenuta da compagnie di professionisti, in massima parte non credenti. “Al di là di barriere confessionali, cattoliche, cristiane” , commenta il responsabile della commissione Cultura della Conferenza episcopale mons. Antonino Raspanti. Perché, dice, è doveroso per la Chiesa offrire spazi agli interrogativi e alle ferite della vita.

Non è un caso che il titolo dell’evento sia al plurale. “I” teatri del sacro. Poiché la molla di ricerche e sperimentazioni è multidirezionale. Unica, semmai, secondo il direttore artistico Fabrizio Fiaschini è la spinta a esplorare orizzonti di senso. Indifferenza. Dolore. Piacere e Sessualità. Trascendenza e Minimalità. Resurrezione nelle pieghe del quotidiano. Incontro con l’Altro.

Misurarsi con il sacro per chi fa teatro, sostiene Fiaschini, è un fatto che si gioca su due dimensioni. Quella orizzontale, comunitaria: la parola, il gesto, i corpi e i pensieri “vissuti in comune” nello spazio teatrale. E quella verticale di un approfondimento del rapporto con se stesso oltre che con gli altri. “E’ un riappropriarsi per attori e pubblico di ciò che nella contemporaneità è sistematicamente separato. Un riappropriarsi della memoria, di esperienze originarie, di sentimenti ‘primitivi’ che precedono la routine di ogni giorno. Qualcosa che tocca l’autenticità dell’incontro con gli altri e con l’Altro”.

Di qui la varietà delle rappresentazioni messe in campo ad Ascoli Piceno questa settimana, che spaziano dalla rivisitazione di opere classiche come il Paradiso perduto di Milton o il Secretum del Petrarca a opere contemporanee come “Immacolata Concezione”, ragazza giovanissima di bordello che da oggetto diventa soggetto, alla storia di una famiglia ebrea nel Novecento (“Giobbe”), al “Santo Piacere – Dio è contento quando godiamo”.

In questa accezione dilatata di sacro – non chiesastica – assume particolare interesse l’esperienza del monaco Ignazio De Francesco, che nel carcere “Dozza” di Bologna si occupa dei giovani carcerati musulmani. Nessun proselitismo, nessun assistenzialismo spicciolo, ma giornate e giornate di incontri discutendo sulla Costituzione a raffronto con le costituzioni di Tunisia, Marocco, Egitto. De Francesco, fa parte dei “Fratelli della Piccola Annunziata” (la congregazione fondata da Dossetti), parla l’arabo ed ha vissuto quasi 12 anni in Israele, Palestina, Siria ed Egitto. Che significa fare un lavoro multiculturale con ex spacciatori e piccoli criminali islamici, che magari scoprono il Corano solo in carcere e non hanno mai tenuto in mano nemmeno la costituzione del proprio Paese? “Fare emergere – spiega – l’identità latente di ognuno, strapparle dall’appiattimento sull’esistenza carceraria, liberare la persona”. Chi – come nel film “Dustur” presentato ad Ascoli – partecipa alla fine alla scrittura di una propria costituzione immaginaria, non è più “carcerato”, ma libero. Chi, come nella rappresentazione “Leila nella tempesta”, esplora tutte le sfaccettature (anche le più critiche) dello scontro-incontro fra culture, si afferma come soggetto sino in fondo.

E allora si scopre che il Sacro può manifestarsi anche nell’impegno tutto laico di fare comprendere e far risaltare la dignità della persona, la concretezza dei diritti, la tensione verso il bene comune, il valore della religione e la disponibilità ad accettare che un figlio trasmigri dalla religione ancestrale verso nuovi approdi. Sacra, in ultima analisi, è l’idea stessa del patto costituzionale fra esseri umani per una società equa. Sacro è il primato della coscienza individuale senza fondamentalismi.

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