"L’obiettivo è puntare su idee nuove senza disperdere il buono fatto dall’amministrazione di Massimo Cialente" dice il candidato dem Di Benedetto, che da presidente della Gran Sasso Acqua è al centro delle polemiche (su cui soffia il centrodestra unito) per aver assegnato appalti a una ditta di un suo sostenitore. M5s terzo incomodo, ma con poche possibilità di far saltare il banco
La battuta che da qualche settimana circola in città dice che se continua così, il Pd rischia davvero di farcela. Riuscirà, cioè, a perdere delle elezioni che un paio di mesi fa sembravano già vinte. Il candidato sindaco, Americo Di Benedetto, in verità ostenta sicurezza. Dal suo staff non hanno dubbi: “Puntiamo a vincere al primo turno. Ce la faremo seguendo una strategia semplice: continuità nella discontinuità”. Semplice, a ben vedere, solo a parole. E forse neppure. “L’obiettivo è puntare su idee nuove senza disperdere il buono fatto dall’amministrazione di Massimo Cialente”. E qui sta il primo problema di Di Benedetto: l’eredità di questi 10 anni di centrosinistra di governo. Che a L’Aquila sono stati gli anni dell’emergenza sismica prima e poi quelli di una ricostruzione stentata. Con più ombre che luci.
E anche se da un paio d’anni i cantieri privati del centro storico hanno preso a lavorare a buon ritmo, i problemi restano. Le frazioni periferiche in stato d’abbandono, le casette delle new town berlusconiane in pessime condizioni e in cerca di una nuova funzione, il difficile ritorno delle attività commerciali dentro le mura. E poi ancora l’economia che ristagna, il settore turistico in perenne agonia, le scuole ospitate in strutture inadeguate. E’ su questo che punta il centrodestra per fare il colpaccio: riprendersi la città sotto la guida di Pierluigi Biondi, abile tessitore capace di far passare in secondo piano certe sue simpatie per la destra estrema.
“È come se stessimo correndo la 4×400” dice Cialente. Ma la metafora dice poco dei dissidi interni al Pd aquilano. Alla fine se ne è usciti con le primarie, che hanno incoronato Americo Di Benedetto. Centrista, 49 anni, commercialista, è moderato a partire dal modo di parlare. “Non ho il piglio di Cialente, è vero – dice – ma sono un esperto assoluto della pubblica amministrazione”. Il problema di De Benedetto però è un altro.
E’ infatti presidente – da 11 anni – della Gran Sasso Acqua, l’azienda partecipata che gestisce, oltre al ciclo idrico della città, anche l’opera pubblica più importante del post-sisma: una rete di tunnel di sottoservizi (gas, luce, reti telefoniche e fognarie) che attraversa il centro storico, e che vale circa 80 milioni. Non basta. Perché a prendersi una fetta cospicua di questi lavori, per i quali la Gran Sasso Acqua funge da stazione appaltante, è la Edilfrair di Gianni Frattale, l’ex presidente provinciale dell’Ance che in questa campagna sostiene pubblicamente Di Benedetto partecipando agli eventi organizzati dal suo comitato elettorale. Ce n’è abbastanza, insomma, perché le opposizioni protestino duramente, lanciando accuse che Di Benedetto liquida comunque con sufficienza: “La mia storia parla per me. Devo rispondere solo alla mia coscienza”.
Nel frattempo il candidato del centrodestra cavalca la polemica. E ha buon gioco a mettere in luce le non poche questioni lasciate irrisolte dall’amministrazione Cialente. Biondi è forte di una coalizione ampia, ricompattata – un po’ in fretta – dopo anni di fratture, che va dall’Udc a Fratelli d’Italia, il partito di cui il 43enne candidato è esponente. Non c’è invece CasaPound, a cui pure Biondi è stato tesserato fino all’anno scorso e con cui è rimasto in contatto nelle battute iniziali di questa campagna, prima che la forza neofascista rifiutasse accordi di cartello per presentare la candidatura solitaria di Claudia Pagliariccio. La strategia del centrodestra, convinto di arrivare al ballottaggio, è quella di invocare la rottura vera rispetto al passato recente. Anche se qui sta il paradosso: perché, nell’ansia di archiviare l’esperienza Cialente, spesso Biondi rievoca le efficienze dell’era Berlusconi-Bertolaso, di cui in città non si sente un gran rimpianto.
La campagna elettorale, del resto, è quello che è: non esaltante e coi partiti tradizionali piuttosto in affanno. Scenario ideale, viene da dire, per un’affermazione del M5s. Ma non a L’Aquila, dove il movimento di Beppe Grillo continua a non attecchire. Nel 2012 fu un flop imbarazzante: 1,74 per cento, 750 voti. Li ottenne Rosetta Enza Blundo, che di lì a pochi mesi si sarebbe comunque consolata con l’elezione al Senato e che anni dopo ha fatto parlare di sé per la bufala della magnitudo dei terremoti ritoccata. Ora il candidato è Fabrizio Righetti, ingegnere 48enne scelto dagli attivisti aquilani con 19 preferenze dopo una faida non breve che aveva coinvolto i 3 diversi meet-up cittadini. Più probabile, allora, che a catalizzare la voglia di partecipazione dal basso siano altri candidati indipendenti. La più accreditata è Carla Cimoroni, sostenuta da due liste civiche radicatesi in città negli anni dell’emergenza post-sisma e da Rifondazione Comunista. Si chiama L’Aquila Polis, invece, la coalizione del candidato Nicola Trifuoggi: ex magistrato a capo delle procure di L’Aquila e Pescara, nominato vicesindaco da Cialente nel gennaio del 2014. Ora ci prova in prima persona, senza accettare apparentamenti. Un po’ come Giancarlo Silveri, 73enne già dirigente della Asl locale, che spera di ritagliarsi un spazio nel centrodestra.