Intesa tra i tories e il partito dell'ultradestra nordirlandese. Per i commentatori politici tuttavia l'addio della premier a Downing Street è solo questione di tempo. E si riaffaccia il nome di Boris Johnson
Sola, sotto assedio e “senza amici”. Così un ex portavoce descrive oggi Theresa May, impegnata a dar vita a un precario governo di minoranza – dopo l’effetto boomerang del voto anticipato britannico – la cui compagine sta provando faticosamente a completare. Fra veti e ultimatum che salgono dalle file del suo stesso partito dei Tories e che l’hanno già costretta a sacrificare i due consiglieri più fidati e influenti, più temuti e odiati: Nick Timohty e Fiona Hill. Hanno rassegnato le dimissioni dopo le pressioni ricevute dal partito conservatore. Secondo la Bbc, i Tories hanno lanciato un vero e proprio ultimatum alla May, prima del voto di fiducia di lunedì. Ai due consiglieri infatti si attribuisce la scelta del voto anticipato, voluto dalla premier per consolidare la propria maggioranza prima di condurre le trattative per la Brexit. Una decisione politica che ha avuto l’effetto opposto: molti dei seggi conservatori sono passati al partito Labour e i separatisti dell’Ukip sono stati azzerati. E la scelta del rimpiazzo lo conferma: arriva Gavin Barwell, ex sottosegretario e uomo d’apparato, uno dei deputati uscenti non rieletti per “colpa” del voto anticipato.
Sarà “un governo né forte, né stabile”, sentenzia Faisal Islam, political editor di SkyNews, facendo il verso all’ex aspirante “lady di ferro”. Un governo aggrappato al determinante appoggio annunciato stasera dai 10 deputati dell’ultradestra unionista nordirlandese del Dup. E atteso a pié fermo dagli interlocutori europei per l’avvio dei negoziati sulla Brexit, fra poco più di una settimana. Il timing non cambia, ha avvertito Angela Merkel. Proprio la distanza ravvicinata da un appuntamento tanto cruciale rappresenta del resto la maggiore garanzia di sopravvivenza al potere per May. Forse l’unica, prima di un addio a Downing Street che nelle parole di Faisal Islam e di molti altri commentatori, “è ormai solo questione di tempo”.
In primis si tratta di mettere insieme una squadra. Ieri May ha confermato in blocco i 5 ministri che contano (Boris Johnson agli Esteri, Philip Hammond al Tesoro, Amber Rudd all’Interno, Michael Fallon alla Difesa e David Davis alla Brexit). Il segno di limitatissimo margine di manovra. Per gli altri dicasteri è previsto un rimpasto parziale, da fare con il contagocce per tenere a bada le varie componenti interne e i malumori postelettorali. Ma, a dispetto delle attese, la partita non potrà risolta in serata, pare. Chiusa invece con “un accordo di principio” a Belfast la trattativa per assicurarsi la fiducia del Dup della chiacchierata leader Arlene Foster, che peraltro ha fissato le sue condizioni: incluso il dossier Brexit, fondamentale per una terra come l’Irlanda del Nord, a rischio di nuove tensioni se fosse messo in discussione il confine aperto con Dublino. In piazza vanno intanto i Laburisti di Jeremy Corbyn secondo i quali il partito della premier “è nel caos” e i due consiglieri caduti sono soltanto capri espiatori. “L’unica responsabile della sconfitta è Theresa May”, twitta Tom Watson, vice di Corbyn, mentre oltre 530.000 cittadini firmano in pochi minuti una petizione online contro il suo nuovo “governicchio”
Fra i Tories, si muove d’altronde un nugolo di potenziali successori e congiurati, sussurrano i media. Pippa Crerar, notista politica dell’Evening Standard, torna a fare il nome di Boris Johnson, che a suo dire sogna d’essere ripescato come una sorta “di Cincinnato” e che secondo il Telegraph ha già fatto sapere che “non direbbe di no”. Come figura di transizione, il candidato naturale pare sia viceversa il 66enne David Davis, per rimanere nel campo dei brexiter; mentre a voler trovare qualcuno meno euroscettico spunta la Rudd, che tuttavia ha salvato il suo stesso collegio da deputata giusto per il rotto della cuffia.
La vera “stella nascente”, incarnazione d’un rinnovamento profondo, potrebbe essere però la pragmatica Ruth Davidson, leader Tory in Scozia, dove alle urne è andata molto meglio che altrove. “Theresa ha il pieno sostegno del partito”, si schermisce lei, ma non senza iniziare a dar consigli. Suggerendo ad esempio di “rivedere” la strategia sulla Brexit e di discutere ora la piattaforma negoziale con “gli altri partiti”. Ovviamente in chiave più soft.
The adviser takes the fall but Theresa May is the one responsible for her own defeat. https://t.co/BgydrCHJB9
— Tom Watson (@tom_watson) 10 giugno 2017
La premier, nel frattempo, continua a essere nel mirino della stampa e dell’opinione pubblica. Centinaia di persone si sono riunite davanti al Parlamento britannico per protestare, in modo pacifico, contro il suo governo e contro la coalizione di minoranza con gli unionisti nordirlandesi. La campagna è partita sui social, su iniziativa di elettori laburisti con gli hashtag #NotMyPrimeMinister, #NoMandate e #Notmygovernment. Critica la stampa britannica che sulla vittoria azzoppata dei Tories attacca i conservatori in modo trasversale: “Dalla ubris all’umiliazione”, titola il Guardian; “May aggrappata al potere” è l’apertura dell’Independent. Per il Times poi la “May è affacciata sull’abisso”, mentre per il Telegraph “Lotta per rimanere premier”. Il tabloid Sun fa un gioco di parole con la parola ‘chips’, che in inglese significa ‘patatine fritte’ ma indica anche le fiches al gioco. “La May ha giocato le sue carte”, suona il titolo accompagnato dalla ormai famigerata foto della premier che mangia patatine fritte da un cartoccio durante la campagna elettorale.