Riflessione su queste amministrative 2017, che hanno acceso gli animi come un doppio misto al torneo di Tegoleto tra Picierno e Sibilia versus Gasparri e la Fusani.

Chi perde
Il Movimento 5Stelle. Era ampiamente previsto, le Amministrative sono il loro tallone d’Achille. Stavolta però sono riusciti ad andare oltre ogni ragionevole speranza (degli avversari). Suicidio a Genova e Palermo, harakiri colpevolissimo a Parma (e Pizzarotti sogna la torcida). In passato, avevano spesso vinto in città stremate dalle disastrose giunte di centrosinistra e centrodestra: Parma, Livorno, Roma. Adesso no (Taranto). Sul piano nazionale è tutto un altro sport, ma i campanelli d’allarme ci sono. Pizzarotti ha ragione quando asserisce sadicamente che ormai il M5s è forza che mira più al nazionale che al locale (e ciò è in controtendenza con gli albori dei Meet up).

In più, alle Amministrative si votano le persone e non i simboli. E le persone candidate dai 5Stelle non le conosce quasi nessuno. È difficile dare la propria città in mano a uno sconosciuto, ancor più contro avversari molto più organizzati e radicati. Il teatrino sulla legge elettorale ha spostato pochissimo, gli affanni di Raggi e parzialmente Appendino, un po’ di più. L’aspetto dirimente resta però l’allergia dei 5Stelle alle amministrative: una Torino non fa primavera, mentre una Genova è per sempre.

Chi non vince
Il Partito democratico. Sta esultando perché i grillini hanno scontato la pena, ma in 13 casi si presenteranno al ballottaggio in ritardo rispetto al centrodestra: Asti, Como, Monza, Genova, Padova, Spezia, Piacenza, Rieti, Lecce, Taranto, Catanzaro, Oristano, Trapani. E, in nove di questi casi, la giunta uscente era di centrosinistra o di sinistra. Il Pd soffre (ovviamente), anche in realtà un tempo rossissime: se questa è una vittoria, Orfini è il nuovo leader dei Led Zeppelin. Ha ragione il Movimento democratico e progressista (Mdp), nel ricordare che, senza l’aiuto della “sinistra riformista” (e spesso pure “radicale”), il Pd non va da nessuna parte. Se non a un apericena con Verdini.

A Renzi è già tornata la voglia di andare al voto anticipato, stavolta a novembre, ma non si capisce quali meriti avrebbe avuto. In primo luogo, il Pd non ha vinto, ma casomai pareggiato: solo i ballottaggi diranno se sarà trionfo o gogna. In secondo luogo, le elezioni nazionali seguiranno tutt’altre logiche. C’è poi l’aspetto personale: Renzi, terrorizzato di perdere, per queste elezioni non si è mai fatto vedere (e anche per questo non sono andate malissimo). Non è che adesso può appropriarsi di una (non) vittoria. O meglio: non potrebbe, ma lo farà. Ah, dimenticavo: è riuscito a perdere anche nella sua Rignano. Idolo.

Chi vince
Più volte ho scritto – e detto – in questi mesi che, tra i due litiganti, il Berlusconi gode. Appunto: a livello comunale e regionale, il centrodestra signoreggia con antica sicumera baldanzosa. I motivi sono semplici. Uno: l’Italia è un paese di centrodestra. Due: il centrodestra è, da sempre, la forza che in nome del bene comune (cioè il loro) è in grado di ingoiare qualsiasi rospo. Mentre Pisapia litiga con Fratoianni che litiga con Bersani che litiga con Civati, e mentre i 5Stelle rileggono in chiave nu-metal i sacri testi dell’Asilo Mariuccia, il centrodestra in apparenza si scazza, ma poi si presenta unito come un sol uomo. Per questo vinceranno. O comunque saranno sempre decisivi per fare un governo nazionale. Agili.

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