Imitando il gambero Beppe Grillo si ritrova un Movimento – malgrado il tempo avanzi e l’esperienza pure – senza testa e senza volti, senza speranze di mettere a frutto ciò che dice di voler fare e di saper fare: il buon governo. In nessuna città gli hanno creduto. Non a Genova, la sua Genova, che avrebbe dovuto sperimentare una forma più larga di selezione della classe dirigente e si ritrova nella casella ingiallita dell’ininfluenza, né a Taranto, capitale della crisi sociale ed economica, città martire dei cinquestelle. Che sono spariti da nord a sud, nei grandi capoluoghi e nei centri più piccini. Ingoiati come un sol boccone da competitori non di primissimo pelo, anzi: gli stessi di sempre.

La lezione è dura e quasi senza appello: un movimento deve custodire i voti sapendo offrir loro una guida credibile, larga, che appaia e si muova fuori dai binari consueti ma lo faccia con il sale in zucca, con una visione e un obiettivo da offrire.

Grillo paga l’inconcludenza della esperienza romana, così drammaticamente rilevante, e la vacuità della leadership nazionale affidata a Luigi Di Maio. A parte la cravatta e i modi gentili, molto affettati, un po’ tardo-democristiani, Di Maio cosa esprime? Quale energia creativa, quale competenza, quale tensione, quale visione?

I cinquestelle hanno gambe forti e un consenso che non si esaurisce certo in questa tornata elettorale, ma vengono recintati nel loro luogo d’origine: popolo senza voce, protesta senza proposta. E il recinto, ed è ciò che deve impensierirli di più, è costruito dal sempiterno Silvio Berlusconi, immobile nei suoi anni, nel suo sorriso di plastica, nella sua eccentrica condizione di padre della Patria benché le leggi della Repubblica lo considerino indegno e incandidabile.

Il centrodestra raccoglie voti in uscita dai cinquestelle e voti in uscita dal Pd, altro partito che se la passa non benissimo, costretto a fare i conti con la fragilità e l’ambiguità della segreteria renziana che oscilla come un pendolo tra l’uno e il suo opposto. Ora è destra e ora è sinistra. Il moto perpetuo dà l’idea che Renzi nasconda all’ombra del proprio ipercinetismo l’assenza di reputazione politica. Questo voto consegna alla debacle i cinquestelle ma giudica Renzi come il passato, o forse anche il trapassato.

Ecco che spunta il centrodestra. Non ha fatto nulla per vincere, ma è la squadra più capace a curare i propri interessi. Ieri Matteo Salvini era il più fiero avversario del Cavaliere, oggi appare come l’alleato tranquillizzante, anzi – ed è questa la novità direbbe il grande Lucio Dalla – il socio di maggioranza della sempiterna SpA.

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