Ho letto con interesse la chiamata alle armi contenuta nell’appello, pubblicato dal manifesto il 6 giugno scorso, da Tomaso Montanari e Anna Falcone. I due, molto impegnati nella campagna referendaria contro la riforma costituzionale voluta da Renzi e da Napolitano, sono persone di spessore politico e di sincera fede democratica. L’appello, come era inevitabile, ha scatenato una discussione molto serrata, nel solco della lunga tradizione della sinistra che in questi ultimi venti anni si è lacerata su moltissime questioni, alcune comprensibili, altre che hanno lasciato interdetto un elettorato tutto sommato fedele. Le prime perplessità sono giunte da chi ha visto nell’operazione lanciata dal presidente di “Libertà e Giustizia” e dalla vicepresidente del Comitato per il No un tentativo di mettere insieme l’ennesimo cartello elettorale in vista delle elezioni politiche. Elezioni di cui ancora non si sa niente, ma la corrente – quando l’appello è stato pubblicato – sembrava portare verso un proporzionale con soglia di sbarramento al 5%. Un numero esiziale per i molti cespugli (come li si chiamava ai tempi dell’Ulivo) della sinistra.
Proprio per questo, e dichiarando sin da subito il mio sospetto che, al di là della buonissima fede di Montanari e Falcone, in effetti una lista unitaria si prospetti più come un’alleanza elettoralistica che come un progetto culturale e politico (e le ragioni sono molteplici: non c’è stata, anche per ragioni di tempo, una sufficiente elaborazione teorica che potesse partorire una piattaforma comune e soprattutto un idem sentire unificante; il progetto sembra la classica fusione a freddo; non si capisce cosa vorrebbero fare i fuoriusciti dal Pd, ma pare che essi, assieme a Pisapia, siano orientati più che altro a un’alleanza post-voto proprio con il Pd, il quale realisticamente però sarà ancora ben saldo nelle mani di Renzi), provo a proporre agli estensori dell’appello tre questioni che a mio avviso molte persone in queste ore si stanno ponendo.
Iniziamo dal tema delle candidature. Possiamo accordarci sul fatto che i leader e leaderini dei cespugli della sinistra faranno generosamente un passo indietro, non cercando per se stessi e per i loro storici dirigenti un posto al sole? Si possono pensare candidature nuove che escludano quella classe politica di sinistra – forse sembro ingeneroso mettendoli tutti insieme, ma il dato è sotto gli occhi di tutti – che in questi anni non ha saputo conseguire risultati degni di nota?
Quanto poi al programma, e sorvolando – perché spero che ci sarà il tempo di discuterne più diffusamente – sul fatto che l’art. 3 della Costituzione, con tutto il rispetto per la nostra Carta fondamentale, non è né una lista di cose da fare né un vademecum politico, se non molto generico, che in questi anni ha convissuto con molte cose, si possono stabilire alcune cose da fare molto specifiche dichiarando prima con quali coperture economiche e con quali alleanze politiche? Altrimenti ci ritroveremo al scrivere l’ennesimo libro dei sogni. Un dato è certo, infatti: è improbabile un risultato elettorale tale da mandare al governo, se non in alleanza con altri, la sinistra che si sta raccogliendo attorno all’appello. Allora occorre dire cosa si andrà a fare, e con chi.
Infine, la tenuta della lista unitaria una volta entrati in Parlamento: forse occorrerebbe che i candidati si impegnassero a una sorta di vincolo di mandato. Si tratterebbe di un vincolo morale e politico, ché gli spettacoli a cui abbiamo assistito in questi anni nelle forze politiche parlano di vere e proprie transumanze di eletti da una parte all’altra (fino alla vicenda della ‘compravendita’ di parlamentari) e di lotte piccole e grandi che hanno sfasciato tutte le forze della sinistra radicale. Si può prospettare un impegno politico e morale degli eletti alle dimissioni dal Parlamento nel caso in cui la lista non dovesse reggere dopo le elezioni? Gli si può chiedere di farsi da parte qualora la forza politica che eventualmente dovesse scaturire da questo appello si sfaldasse nuovamente di fronte a piccole e grandi questioni politiche?
Ecco, mi pare che queste tre siano questioni cruciali. Non le uniche, certo, ma importanti temi che contraddistinguerebbero una forza politica in termini davvero nuovi. Questioni di metodo, e non di merito, ché il merito dovranno discuterlo coloro che si impegneranno, come candidati, come dirigenti e come elettori, in questa avventura.