La riforma finisce dopo quasi 4 anni l'iter parlamentare, ancora una volta grazie a un voto di fiducia. Ma le fibrillazioni tra i partiti che sostengono il governo Gentiloni restano. Critica anche l'Anm. Gentiloni: "Equilibrio e garanzie nelle procedure"
La riforma penale è diventata legge a colpi di fiducia: dopo il Senato, anche la Camera ha approvato il disegno di legge che è riuscito a completare il suo percorso in Parlamento praticamente dopo quasi 4 anni. Montecitorio ha prima confermato la fiducia al governo Gentiloni con 320 sì, 149 no e un astenuto. Ma i malesseri dentro la maggioranza sono usciti fuori al momento della votazione sul provvedimento, passato con soli 267 sì e 136 no. Alternativa Popolare di Angelino Alfano ha disertato l’Aula quasi in blocco, il gruppuscolo parlamentare dell’Udc ha votato contro, mentre Articolo 1-Mdp si è astenuto. Ma soprattutto ha espresso voto contrario – dai banchi da parlamentare e non da quelli dell’esecutivo – il ministro per gli Affari regionali Enrico Costa, braccio destro di Alfano e carriera da ultragarantista anche ai tempi del Pdl e dei guai giudiziari di Silvio Berlusconi. La scelta di Ap di uscire dall’Aula al momento della votazione è stata spiegata come atto di responsabilità. “Se Davigo è contrario a questa legge vuol dire che qualcosa di buono ci deve essere…” ha detto in Aula Ferdinando Adornato a nome degli alfaniani, che si sono autodefiniti “sminatori” del governo Gentiloni perché “vogliamo che arrivi a fine legislatura, siamo contro le fibrillazioni che fanno danno al Paese”. Per gli ex Pd invece prevalgono le ombre, come ha spiegato Danilo Leva, da qui l’astensione. Contraria Forza Italia: “I 95 commi di questo testo – dice in Aula Francesco Paolo Sisto che di lavoro fa l’avvocato, anche di Silvio Berlusconi – si inseriranno come altrettanti virus nel sistema giudiziario, con uno stordimento codicistico impossibile da digerire”. Per i Cinquestelle la riforma “è uno scempio”.
Nel marzo scorso anche a Palazzo Madama c’era voluta la fiducia per fare approvare il ddl, modificato dai senatori in commissione giustizia dopo la prima approvazione della Camera il 23 settembre 2015. Oggi, a due anni da quel voto, Montecitorio ha approvato definitivamente la legge. Ma di nuovo col voto di fiducia, scelta inevitabile per la tenuta della maggioranza, ma che ha fatto saltare sulla sedia tutte le opposizioni.
Resta critica l’Associazione nazionale magistrati. “Il ricorso alla fiducia è una forzatura. Nonostante il disegno di legge sia stato all’esame del Parlamento per tre anni, i contributi degli operatori del diritto, e in particolare dell’Anm, sono stati accantonati. Non c’è stato alcun dialogo propositivo e il testo definitivo, votato dalla Camera, nonostante diversi contenuti positivi, scontenta tutte le categorie interessate al buon funzionamento della giustizia”, commenta il sindacato dei magistrati. “Le norme sull’avocazione – aggiunge sempre l’Anm – creeranno gravi disservizi negli uffici e anche i regimi delle intercettazioni e della prescrizione non soddisferanno le esigenze dei cittadini. Oggi è stato interrotto un percorso che avrebbe potuto dare un reale contributo alla macchina della giustizia, migliorandone l’efficienza”.
Varata riforma processo #penale. Equilibrio e garanzie nelle procedure, pene severe per i reati più odiosi.
— Paolo Gentiloni (@PaoloGentiloni) 14 giugno 2017
A difendere la riforma è ovviamente il guardasigilli, Andrea Orlando. “È stato un percorso molto faticoso, molto accidentato, con molte trappole, molti trabocchetti, molte contraddizioni anche in chi lo ha contestato. Oggi abbiamo finalmente un intervento organico che può dare nuova vitalità al processo penale, può dare anche garanzie più stringenti ai cittadini in qualunque condizione si trovino di fronte al processo, siano vittime, siano testimoni, siano imputati. Credo che oggi sia una giornata positiva per la giustizia italiana. Era il frutto di un programma di governo che oggi si realizza , ha detto il ministro della Giustizia.” Varata riforma processo #penale. Equilibrio e garanzie nelle procedure, pene severe per i reati più odiosi”, ha scritto invece su twitter il premier Paolo Gentiloni.