Ai tempi d’oro della “Prima Repubblica”, quando ancora tutti i politici dovevano parlare in pubblico nei comizi in piazza, tenendo un linguaggio rispettoso e, almeno apparentemente, sincero (non nei super-protetti studi televisivi dove ogni sorta di commedia è sempre ammessa ed applaudita da colleghi e pubblico scientemente selezionati per far accettare dalla platea di qua e di là dello schermo qualunque frottola purché raccontata con maestria) nessun venditore di fumo politico, ancorché bravo e suadente, si sarebbe arrischiato a presentarsi in pubblico dopo aver solennemente “bucato”, non una promessa qualunque, ma nientemeno che la parola d’onore che, in caso di sconfitta elettorale, egli stesso avrebbe fatto ammenda dei suoi errori ritirandosi a vita privata.
Ai giorni nostri invece qualunque atteggiamento, anche il più fantasioso, il più bizzarro, il meno onorevole, è consentito. Nella convinzione (per niente plausibile) che il popolo al di là dello schermo sia una vuota entità senza memoria e senza cervello, utile solo a tracciare una crocetta sulla scheda voto, voluttuosamente disegnata non solo sul piano grafico ma anche su quello istituzionale allo scopo unico e palese di fare il “pieno” elettorale senza nulla impegnare seriamente né di pubblico né di personale.
Il cittadino dunque, degradato a soggetto immateriale per mezzo di qualche panzana ben condita con adeguata retorica e astuzia, può essere attraversato impunemente con la stessa naturalezza dell’etereo fantasma mentre procede con noncuranza oltre un muro di consistente materia, diventando così bersaglio e oggetto dei più ingegnosi progetti di conquista per ogni livello di potere. Anche dei più eccelsi, come ci è data testimonianza dalle conquiste attuate nell’ultimo trentennio da una triade di improbabili o improvvisati statisti, diventati famosi a livello planetario oltre che per le loro similitudini culturali, anche grazie ai nomignoli coi quali i media di mezzo mondo li hanno battezzati: mi riferisco ovviamente agli oramai ben noti “Renzusconi e Trumpusconi”.
Ben diverso approccio poteva ovviamente consentirsi qualunque politico che avesse deciso, nel secolo scorso, per dovere e convenienza professionale, di attraversare una piazza che immateriale non era. E se avesse fatto pubblicamente quella avventata promessa, senza sentirsi poi in serio dovere di mantenerla, sarebbe stato immancabilmente accolto da una pioggia di verdura variegata e di abbondanti quantità di uova scrupolosamente scelte tra quelle sicuramente marce.
Nel secolo scorso, per molto meno che una totale abiura fatta da un personaggio pubblico di altissimo livello, si diceva di chi teneva tale comportamento che aveva una “faccia di tolla”, probabilmente allo scopo di caratterizzare la scarsa affidabilità e consistenza del materiale usato per “metterci la faccia” di chi impegnava la propria credibilità senza curarsi del fatto che era invece già ben nota la sua completa inaffidabilità.
Generalmente tale appellativo era assegnato a fanciulli che bonariamente e furbescamente, speravano di conquistare credibilità a danno dei compagni di gioco. Mai si sarebbe pensato che lo stesso puerile atteggiamento potesse essere ripetuto a distanza di un secolo nientemeno che da qualcuno che fino a pochi mesi prima era assiso nella poltronissima di Palazzo Chigi.
Ecce homo, dicevano i latini.
Se questo è l’uomo dobbiamo però ricordarci di aggiungere nel vocabolario dei sinonimi, anche la nuova locuzione “faccia di Renzi”, vicino alle consimili “faccia di bronzo” e “faccia di tolla”, per indicare chi non si preoccupa minimamente di essere privo di ogni credibilità ogni volta che apre bocca, tanto più quando si mette su un piedistallo istituzionale promettendo a destra e manca riforme la cui affidabilità, personale e politica, è ridotta ormai allo stremo dello zero negativo.