L'Anticorruzione ha presentato un esposto presentato alla Corte dei conti, alla Procura Generale della Cassazione, alla Procura di Milano per gli eventuali rilievi penali. Il presidente del Tribunale Bichi chiede che si verifichino le "singole responsabilità" su "eventuali comportamenti illeciti nel più celere tempo possibile". Aperto un fascicolo per turbativa d'asta al momento senza indagati
I lettori del Fatto Quotidiano questa storia la conoscono da tempo, almeno tre anni. I fondi Expo senza gara per ben 16 milioni di euro, stanziati con decreto legge nel 2008, per rendere, tra le altre cose, informaticamente efficiente il palazzo di giustizia di Milano in occasione appunto dell’Esposizione Universale. In un paio d’anni vengono spesi circa 10 milioni, quasi tutti ad affidamento diretto cioè senza gara d’appalto. Li incassano, tra gli altri, Elsag Datamat, allora gruppo Finmeccanica (1,4 milioni) e Net Service (1,8 milioni) che lavorano per realizzare il Processo Civile Telematico. A febbraio, quando ormai l’Expo è un ricordo e l’allora commissario è diventato sindaco, il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, invia i finanzieri ad acquisire la documentazione relativa ai fondi negli uffici del Comune di Milano (che erogava e gestiva i fondi insieme al ministero della Giustizia).
La lettura di quelle carte hanno “prodotto” un esposto presentato alla Corte dei conti, alla Procura Generale della Cassazione (per eventuali profili disciplinari a carico di magistrati), e alla Procura di Milano per gli eventuali rilievi penali. Nella relazione dell’Anticorruzione si evidenzia, come scrive il Corriere della Sera, che almeno 18 delle 72 procedure d’appalti per oltre 8 dei 16 milioni di euro di fondi sono stati viziati fra il 2010 e il 2015 da una miriade di violazioni: sia del codice degli appalti, sia del codice penale. Questo perché gli affidamenti diretti e quindi senza gara sono stati giustificati dall’unicità del fornitore per straordinarie ragioni tecniche oppure da anomali frazionamenti pianificati o da accorpamenti illogici, da convenzioni senza motivo con enti esterni come la Camera di Commercio. Infine l’Anac ha rilevato potenziali conflitti di interesse nei tavoli tecnici.
La “bomba” lanciata dall’Anac ha come naturale creato scompiglio nella cittadella giudiziaria tanto che oggi, dopo una riunione con i presidenti delle corti, il presidente del Tribunale Roberto Bichi ha emesso una nota in cui si chiede di accertare le “singole responsabilità” su “eventuali comportamenti illeciti nel più celere tempo possibile, per dirimere dubbi, evitare illazioni, e per non ledere l’immagine e il ruolo del Tribunale di Milano, impegnato nel garantire il massimo di legalità in un’area così importante per il tessuto sociale ed economico dell’Italia”. Bichi, nel corso della riunione, ha riferito parlato dei dati presenti sulla tabella “Riepilogo delle acquisizioni per il ministero della Giustizia aggiornata al 9 marzo 2017, trasmessa dal Comune di Milano e portata alla conferenza permanente dei capi degli uffici nelle sedute del 16 e 30 marzo, in cui si dà informazione in merito all’utilizzo dei 16 milioni di finanziamento Expo 2010-2015″ e ha elencato come sono stati impiegati: implementazione di nuovi servizi e acquisizione di dotazioni informatiche destinate ai vari uffici giudiziari milanesi, organizzazione di servizi comuni agli uffici giudiziari (tra cui l’ufficio relazioni con il pubblico dell’atrio di Porta Vittoria), sistemi integrati di segnalazione interna e esterna, interventi di cablaggio per uffici, allestimento di dotazioni e servizi per la palazzina di via San Barnaba”, dove sono state trasferite le sezioni Lavoro, Famiglia e Minori del Tribunale di Milano. “Inoltre, e in larga parte, i fondi sono stati destinati allo sviluppo e all’implementazione del progetto ministeriale del processo civile telematico – poi destinato con vincolo di obbligatorietà a tutti gli uffici giudiziari italiani – e alla creazione di sala server-ced, al servizio degli uffici giudiziari di varie regioni del Nord Italia. Emerge – si legge infine nella nota – che tali impegni sono stati effettuati tramite gare d’appalto con affidamento complementare o con adesione a convenzioni Consip. Non risulta che il Tribunale abbia mai assunto il ruolo di stazione appaltante”. Che infatti è il Comune di Milano.
Le gare, fino al 2015, erano proseguite in nome della “continuità tecnologica” coinvolgendo soltanto il Tribunale guidato da Livia Pomodoro e l’“ufficio innovazione” di cui era responsabile il vicepresidente dei gip di Milano Claudio Castelli ora a presidente della corte d’Appello di Brescia. Lasciando anche a bocca asciutta Corte d’appello, Procura generale e Udi (Ufficio distrettuale informatica) che poi avevano chiesto che i 6 milioni non ancora spesi fossero assegnati con gara. Interpellata dal FattoQuotidiano.it Livia Pomodoro si dice serena perché è stata rispettata la procedura e che non si sente chiamata in causa: “Assolutamente no, non sono compiti del Tribunale. Bisogna che qualcuno verifichi e ci dica di chi sono le responsabilità”. Di cosa le responsabilità? Allo stato il procuratore capo dei Milano ha aperto un fascicolo a modello 44, quindi senza indagati, con l’ipotesi di turbativa d’asta. Una eventuale iscrizione di magistrati catapulterebbe l’inchiesta a Brescia.
La ricostruzione dell’Anac riguarda i tecnici del Comune stazione appaltante (sindaci prima Moratti e poi Pisapia); i vertici del Tribunale, i dirigenti della Dgsia (Direzione generale dei sistemi informativi automatizzati) e della Cisia (Coordinamenti Interdistrettuali per i Sistemi Informativi Automatizzati) durante i ministeri di Alfano, Severino, Cancellieri e infine Orlando), della Camera di Commercio, di magistrati e consulenti. L’ipotesi è che i membri del “gruppo di lavoro per l’infrastrutturazione informatica degli uffici giudiziari di Milano” in molti casi avesserogià stabilito di saltare la fase del bando e di consegnare molti dei lavori esse a società, come dire, particolarmente fortunate come Net Service e Elsag Datamat; e che il Comune-stazione appaltante, oltre a individuarle preliminarmente, incaricasse poi il ministeriale Dgsia/Cisia di escogitare il modo per poterle giustificare. A questo si aggiunge che nonostante la vieti la legge la verifica della conformità o del funzionamento delle commesse appaltate risulti essere stata svolta in 13 occasioni da commissioni di collaudo delle quali facevano parte anche nove magistrati, alcuni provenienti anche da fuori Milano.