Al Ministero delle Infrastrutture continua la discussione per decidere del futuro dei lavoratori del Porto di Gioia Tauro. Lo spettro del licenziamento per molti dei dipendenti torna ad aleggiare con prepotenza. Se non si trova un accordo entro il 15 luglio, l’azienda terminalista Mct invierà le lettere di licenziamento per circa 400 dipendenti in esubero ancora non allocati nella costituenda Agenzia Portuale. Ieri l’ennesimo incontro al Ministero tra le organizzazioni sindacali, l’Autorità Portuale e Mct, ancora una volta senza la firma di alcun accordo.
Il 1 aprile scorso è partita la procedura di mobilità per i lavoratori e i primi 45 giorni dovevano servire proprio ad individuare una strategia comune. Purtroppo sono passati senza novità. Così come i successivi 30 giorni ed ora il termine per la fine delle trattative è fra qualche giorno, il 19 giugno. “Gli operai stanno aspettando l’arrivo delle lettere – mi raccontano rassegnati alcuni dipendenti – c’è una spaccatura anche fra di noi. Lo Stato ci ha abbandonati. Quale sarà il nostro futuro? O aspettare di trovare una occupazione oppure rimpolpare le file del lavoro nero”. Quello che i lavoratori chiedono al ministro Graziano Delrio è un Piano di investimenti a lungo termine che valorizzi il ruolo del porto come centro di transhipment (trasbordo). D’altra parte, il governo sembra dimenticare che proprio il Porto di Gioia Tauro rappresenta oltre il 50 per cento del Pil della Regione. E fra i lavoratori più a rischio, paradossalmente, ci sono proprio quelli che nel Porto ci sono entrati dall’inizio, nel 1994.
Quello di Gioia Tauro, infatti, doveva essere il porto numero uno del Mediterraneo. Nel 1975 la prima pietra, che doveva dare il via ai lavori per il quinto centro siderurgico d’Italia. La crisi del settore fece naufragare il progetto, l’area fu scelta come nuova sede della Centrale Enel a carbone. Mai realizzata. Nel 1994 la nascita del grande porto commerciale. Mille miliardi il costo iniziale e l’ambizione di dare lavoro a 7500 persone. Oggi, nel 2017, l’Hub del Mediterraneo, la porta Sud per l’Europa sulla rotta del Canale di Suez, conta 1640 lavoratori, più 600 unità per l’indotto e Medcenter dichiara 442 esuberi (ora ridotti a 400). Un porto da invidia per tutti, situato al Centro del Mediterraneo e centinaia di lavoratori senza un futuro ma per il governo la soluzione è l’Agenzia per il Lavoro a cui vengono destinati 45 milioni di euro e poi la Zes (Zona economica speciale) e le promesse fatte e mai mantenute.
Tale scelta di licenziamento non sembra essere solo una questione di esuberi ma riguarda, molto più in generale, il futuro del porto di Gioia Tauro e dell’area circostante. Qualche settimana fa, forse non a caso, lo stesso premier Paolo Gentiloni ha indicato ai grandi imprenditori indocinesi i porti di Trieste e Genova come unici terminali verso cui indirizzare le merci in entrata nel Mediterraneo provenienti dal Sud-Est asiatico. Su Gioia Tauro, invece, nulla. Nemmeno un minimo impegno che confermi la funzione principale del porto che è quella di transhipment, unica base italiana. Silenzio da parte della Regione Calabria. Silenzio da parte della Città Metropolitana. Silenzio da parte degli amministratori locali, salvo qualche eccezione di alcuni sindaci locali. E un disperato appello da parte del senatore Giovanni Bilardi che, però, ad ora, sembra caduto nel vuoto.
Il mancato sviluppo del Porto di Gioia Tauro potrebbe essere alla base di altre strategie. Come ricostruisce il professor Domenico Marino sul Corriere della Calabria, l’allargamento del Canale di Panama, il fatto che nel Mediterraneo i competitori si rafforzano e crescono, la circostanza che in Italia nasca un nuovo polo portuale in Liguria sono solo tre esempi dei cambiamenti in corso: “APM Terminals, società del Gruppo Maersk, sta terminando la costruzione del secondo terminal container di Tangeri in Tunisia. I due terminal movimenteranno a regime 5,4 milioni di Teus, diventando il primo polo container del Mediterraneo. APM Terminals è anche il terminalista che gestirà il nuovo Terminal di Vado Ligure. I cinesi di Cosco hanno fatto del Pireo il loro Hub del Mediterraneo e in Egitto Port Said con gli investimenti che hanno consentito una operatività 24 ore su 24 e una capacità di 5,4 milioni di Teus è diventato un primario scalo del Mediterraneo. Quale spazio di mercato resterà a Gioia Tauro?”.
Più di quattrocento lavoratori saranno i futuri disoccupati della Piana. Intere famiglie sono in pericolo ma pare che nessuno lo capisca. A chi si rivolgeranno per chiedere lavoro in un territorio in cui la disoccupazione dilaga e proprio il Porto avrebbe dovuto rappresentare un grande centro di impiego per tantissimi di loro?
Il territorio calabrese continua ad essere piegato dalle mille emergenze e, tranne che per sporadiche passerelle elettorali, i politici latitano e la criminalità non si ferma. Non è un segreto che la mafia sia nata e cresciuta proprio dal bisogno della gente: bisogno di protezione, bisogno di lavoro, bisogno di soldi. La sensazione di fronte a fatti concreti come questo è che gli amministratori stiano gettando la spugna. La scommessa dello sviluppo del Porto si è rivelata un enorme delusione e il sogno di molte famiglie si è ben presto trasformato in un incubo che ci riporta indietro nel passato, quando Andreotti pose la prima pietra nel cantiere che doveva dare vita al Porto e, prima di andare al banchetto che tanto fece discutere per la presenza del Piromalli, disse ironicamente: “I calabresi hanno ragione a diffidare perché spesso alla prima pietra non segue la seconda”.