La Costituzione italiana all’articolo 32 recita così: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
In realtà questo principio ha trovato attuazione solo 30 anni dopo quando, la legge 833 del 23 dicembre 1978, venne introdotto il Sistema sanitario nazionale basato sulla fiscalità generale. Nei tre mesi seguenti vennero introdotti i ticket sui farmaci e sulle prestazioni sanitarie, una vera e propria “tassa sulla malattia” che prevede una forma di compartecipazione diretta dei cittadini alla spesa sanitaria.
Nel 1993, pur identificando dei “livelli uniformi di assistenza” su base nazionale, venivano devoluti grandi poteri alle Regioni che costituiscono aziende pubbliche in tutto e per tutto dotate di autonomia imprenditoriale e gestite da potenti “manager della salute” principalmente secondo criteri di produttività. L’apertura alle strutture sanitarie private, equiparandole al sistema pubblico con il meccanismo dell’accreditamento, ha completato il quadro smantellando definitivamente i principi costituzionali. I medici devono rispondere della efficienza economica più che della efficacia sulla salute.
La mancanza di un valido sistema di controllo, come io propongo da anni, non può che aprire le strade a manager e medici che con la salute hanno poco a che fare evidenziando, soprattutto in questi ultimi anni, i noti casi di malasanità anche nella Regione Lombardia, considerata da molti un’eccellenza a livello europeo. Lontani sono gli anni in cui Michael Moore, nel suo film sulla sanità americana ‘Sicko’, poneva l’Italia al secondo posto nel mondo, dopo la Francia, come migliore sistema di welfare.
Oggi il Sistema sanitario ha grossi deficit economici che si ripercuotono sul sistema di cura. Mi domando ad esempio come sia possibile che alcune prestazioni costino al cittadino, con il ticket che dovrebbe essere solo integrativo alla fiscalità, di più che privatamente. Mi domando perché il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni non emani una circolare per equiparare il costo. Semplice perché il meccanismo di spostamento verso una sanità privata, nel caso specifico pagata ancora una volta dal cittadino oltre la fiscalità, permette ai politici di dire che i conti della sanità pubblica sono in ordine. Non perché sanno controllare e gestire ma perché continuano a chiedere sacrifici ai cittadini.
Senza contare poi quanto si riuscirebbe a risparmiare senza sprechi inutili al bene collettivo: 22,5 miliardi di euro.
Ma ai politici che gestiscono la salute interessa veramente mettere i conti in ordine in modo da tornare ai sempre validi principi costituzionali o preferiscono assistere al funerale lento e inesorabile del Sistema sanitario nazionale?