Società

“Tre donne per un sito archeologico: così, da sole, abbiamo fatto rinascere un angolo di Sardegna”

Arianna Riva, Alessia Chiuso e Stefania Simula, stanche della cattiva gestione con cui vengono trattate le risorse culturali, hanno deciso di rilanciare il sito di Lu Brandali. "Nel 2012 siamo partiti con poco più di duemila visitatori l’anno, 4 anni dopo eravamo a più di 16mila”. E della Sardegna dicono: "Di cultura si mangerebbe se solo si vendesse l'isola anche per la sua storia millenaria"

“Ogni giorno puliamo, zappiamo, piantiamo cartelli segnaletici, ci occupiamo della grafica e facciamo da guide turistiche: siamo tre donne e non ci lasciamo spaventare da niente”. Da queste parti le chiamano le ‘Cavaliere dei Nuraghi’: sono Arianna, Alessia e Stefania, tre ragazze che hanno deciso di lasciare tutto per dare vita ad un progetto che rivalorizzasse il territorio. È così che nasce CoolTour Gallura, una cooperativa sociale tutta al femminile, che ha come obiettivo quello di prendersi cura del territorio de Lu Brandali, sito archeologico a pochi passi da Santa Teresa di Gallura, Sardegna.

Arianna Riva, viareggina, è da sempre impegnata nel mondo alberghiero. Alessia Chiuso, laureata in Beni Culturali all’Università di Cagliari, è sarda doc e guida turistica. Stefania Simula è mamma, guida e autrice teatrale. Nel 2012, stanche della cattiva gestione da parte dei dipendenti pubblici e della sciatteria con cui vengono trattate le risorse culturali del territorio Arianna, Alessia e Stefania decidono di dare vita ad un progetto tutto loro: “Ci siamo sedute a tavolino e abbiamo messo nero su bianco la nostra proposta al Comune: valorizzare, finalmente, il sito archeologico chiuso da anni”.

Ogni giorno puliamo, piantiamo cartelli segnaletici e facciamo da guide turistiche: siamo tre donne e non ci lasciamo spaventare da niente

Il 25 aprile del 2012 si aprono così per la prima volta le porte dei siti archeologici: “Abbiamo iniziato quest’avventura senza l’aiuto di nessuno”, racconta Alessia. Santa Teresa di Gallura è sempre stata considerata per il suo mare, le sue coste: mai per i suoi siti archeologici. Seppur millenari. Ma il territorio ha dimostrato di avere “enorme fame di cultura”. Nel corso degli anni il sito archeologico Lu Brandali è rinato, così come la meravigliosa Torre di Longonsardo: sono state organizzate mostre, eventi, presentazioni, concorsi letterari. Ma anche visite di tutti i giorni. Il rilancio, insomma, è da considerare un piccolo miracolo: “Nel 2012 siamo partiti con poco più di duemila visitatori l’anno – raccontano le 3 guide turistiche – Quattro anni dopo eravamo a più di 16mila”.

La rinascita è stata così imponente soprattutto grazie all’intervento di privati: partendo dagli operatori locali ai semplici cittadini, che grazie al passaparola contribuiscono alla pubblicità del sito archeologico. “I privati per noi sono stati fondamentali. Non cerchiamo solo aiuti economici: ci sono molti volontari che arrivano per tagliare l’erba al sito, sorvegliare i monumenti, occuparsi della recinzione”, spiegano.

I privati per noi sono stati fondamentali. Ma non cerchiamo solo aiuti economici

Le difficoltà sono tante, ogni giorno. E lo Stato non sempre è presente: “E’ inesistente, nessun aiuto. Si presenta solo per chiedere autorizzazioni, certificati e simili – spiega Alessia –. E lo stesso succede negli altri siti del territorio e della Regione”. Dopo la prima convenzione in autofinanziamento, oggi il Comune aiuta la cooperativa con poco meno di 5mila euro l’anno, “che servono a poco”. I punti critici sono tanti: partendo dal fatto che il sito archeologico non è recintato, con molti visitatori che entrano abusivamente nonostante gli avvisi. Passando per la difficoltà di far capire al territorio che il sito Lu Brandali è un luogo dove più di tremila anni fa hanno abitato i Nuragici. Aggiungendo le scorrazzate dei cinghiali, che ogni tanto si presentano e devastano parte dell’area. Non sempre, poi, si riceve lo stipendio a fine mese, nonostante il lavoro stremante. “Ma la parte più difficile da sopportare è quella legata alle lungaggini burocratiche – continua Alessia – Si perde tempo in chiacchiere, email, telefonate senza risposta”.

Lo Stato? Non esiste. Anzi, si presenta solo per chiedere autorizzazioni, certificati e simili

Eppure il motto delle tre guide turistiche è proprio ‘Salvare la cultura’. “Di cultura si mangerebbe se esistesse una rete che collega e che fa collaborare tutti i siti, anche quelli in autofinanziamento. Di cultura si mangerebbe se ci fosse una promozione che vendesse la Sardegna non solo per il suo mare, ma anche per la sua storia millenaria”, spiegano dalla cooperativa. Salvare la cultura, insomma, significa salvare il futuro delle generazioni, non svendere l’isola solo per le sue spiagge, il porceddu e i cliché che “ci portiamo dietro da troppo tempo”. Un modello esportabile, questo? “Sì – risponde Alessia –. Pensiamo sia l’unico modo per gestire un sito archeologico. Quando lo Stato non ti aiuta ti ingegni per attrarre risorse: e l’unica via è organizzare rassegne, eventi, conferenze, laboratori e visite per adulti e bambini, scuole e ricercatori. “Ci vorrebbero più persone tenaci – concludono – folli e capaci per gestire siti archeologici. Siamo convinte che ce la faremo”.