Secondo l'avvocato Ciro Pellegrino l'ex presidente dell’Inpgi, ha "sempre curato gli interessi" dell’ente previdenziale dei giornalisti e l'investimento sulle quote del Fip, il Fondo immobili pubblici, "è stato il migliore investimento per l’ente dal punto di vista patrimoniale, che ha fatto maturare un grande profitto"
Né truffa, né corruzione. Nelle sue condotte Andrea Camporese, ex presidente dell’Inpgi, ha “sempre curato gli interessi” dell’ente previdenziale dei giornalisti e l’investimento sulle quote del Fip, il Fondo immobili pubblici, “è stato il migliore investimento per l’ente dal punto di vista patrimoniale, che ha fatto maturare un grande profitto”. La difesa ha chiesto l’assoluzione per Camporese, imputato assieme ad altre persone nel processo milanese con al centro il crac della società finanziaria Sopaf dei fratelli Magnoni (una decina gli imputati in totale e la sentenza è prevista per domani) e le accuse di associazione per delinquere, bancarotta e altri reati.
Il pm Gaetano Ruta ha chiesto 4 anni e mezzo. Secondo l’accusa Camporese ha ricevuto 200mila euro “a titolo di remunerazione per il compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio“ e avrebbe aiutato la Sopaf a incassare 7,6 milioni di euro perché le quote Fip (Fondo immobili pubblici), pagate dall’ente di previdenza 140mila euro l’una alla società, in realtà ne valevano 100mila. Camporese, ritiene l’accusa, sarebbe stato ricompensato in vari modi; ci sono alcuni viaggi (non contestati), ma soprattutto quello che gli inquirenti definiscono emolumento ovvero un ruolo nel comitato consultivo di Adenium, controllata al 100% da Sopaf, con una retribuzione di 25mila euro all’anno per due anni, incarico solitamente non retribuito. E poi ci sono i soldi veri e propri.
Erano state le dichiarazioni di un coimputato, Andrea Toschi, ex presidente di Arner Bank ed ex amministratore della società di gestione del risparmio Adenium, a spingere le indagini degli investigatori verso l’ipotesi della corruzione. Per Toschi, considerato un testimone attendibile (l’ex presidente della Cassa dei ragionieri è stato condannato a 4 anni e 8 mesi), il pm ha chiesto 6 anni. In una delle ultime udienze Camporese in aula si era difeso dicendo che i 30 milioni dell’Inpgi investiti nelle quote del Fip, il Fondo immobili pubblici, hanno “già fruttato 15 milioni di euro” e che i 50mila euro lordi di compensi per essere stato componente del comitato consultivo di Adenium sono stati “dichiarati al fisco e devoluti in beneficenza”.
Secondo il difensore, invece da parte di Camporese non c’è stata alcuna attività “truffaldina”, “nessuna attività contraria ai doveri d’ufficio e nessuna attività corruttiva nei suoi confronti”. Per la difesa il processo ha dimostrato “la linearità dell’ operazione di acquisto” di quelle quote del Fip, “acquisto che venne fatto anche al prezzo più vantaggioso” per l’ente. “Se non avesse concluso quell’investimento – ha aggiunto il legale – Camporese non avrebbe fatto gli interessi dell’ente”. Secondo la difesa, il dibattimento ha dimostrato “l’estraneità” di Camporese a “qualunque responsabilità penale”, anche perché, tra l’altro, “è stato accertato” che quando venne conclusa l’operazione nel 2009 “non poteva sapere che Sopaf non era titolare delle quote Fip“. Per il pm, poi, ha proseguito il legale, “la truffa starebbe nel fatto che quelle quote potevano essere acquistate ad un prezzo inferiore”, mentre è emerso che “l’acquisto venne fatto al prezzo più vantaggioso e questa sarebbe una truffa!”.
Anche l’avvocato Vinicio Nardo , difensore di Toschi, ha chiesto l’assoluzione del suo imputato. La difesa nell’arringa ha contrastato anche su questi punti l’accusa, spiegando, tra le altre cose, che non ci fu alcun “atto contrario ai doveri d’ufficio”, perché “il fatto che si dovesse investire su Fip era il risultato di una valutazione di una società consulente esterna e fu il cda di Inpgi a deliberare di investire agli stessi termini indicati dal consulente”. Non fu, dunque, Camporese a decidere in autonomia. Nell’interrogatorio in aula l’ex ‘numero uno’ della cassa dei giornalisti aveva già spiegato che quei 50mila euro lordi di compensi per essere stato componente del comitato consultivo di Adenium sono stati “dichiarati al fisco e devoluti in beneficenza“. E aveva respinto al mittente l’esistenza di un conto svizzero su cui sarebbero confluiti, secondo l’accusa, soldi in nero ricavati dalla vendita di una villetta.