“Sono seduto sulle rovine di casa mia che non c’è più; il paesello non c’e più. Intorno a me solo macerie e distruzione; silenzio assordante; odore di fuliggine, di calce umida, di travi spezzate; sono piccolo come una formica; senso di appartenenza cancellato sarà come diventare sordi o ciechi forse? Il canto degli uccelli sembra diverso, io sono diverso; triste la consapevolezza di non poter fare nulla per aggiustare questo macello; mi spaccherei la schiena per riuscirci; so che dovremo combattere una battaglia maledettamente lunga e difficile per poter almeno tornare a sorridere. Le mani sul viso, chiudo gli occhi, i pensieri e i ricordi mi assalgono mi scorrono davanti come la pellicola di un film che non riesco a fermare…”. Marco Moscati qualche giorno fa gli ha dedicato un post su Facebook

Chi ha scritto quelle righe non è un politico, locale o nazionale, né una personalità internazionale e neppure un cantante. E’ semplicemente uno degli ex abitanti di Tufo, uno dei piccoli centri della provincia di Ascoli Piceno, distrutti dal terremoto dello scorso agosto. Ex paesi, ormai. Come i non lontani Pescara del Tronto e Capodacqua, ad esempio. A Tufo, a metà maggio, sono state recuperate le campane della Chiesa Santissima Maria Annunziata del XVII secolo. Per il resto è in gran parte un ammasso di macerie.

#popolodella rete … “amici” di Verona … La Spezia … Ascoli … etc … etc … ecco la “situazione statica” di Capodacqua di Arquata del Tronto, Ascoli Piceno, Marche, Italia, Europa, Mondo … Qualcuno che ci possa aiutare?!?!?!?! Siamo dimenticati …”. Il post ancora su Facebook di Berardina di Cesare, accompagnato da alcune immagini, restituisce la situazione del piccolo centro. Agli inizi di giugno è terminata la messa in sicurezza della chiesa della Madonna del Sole, l’edificio del XV secolo, affrescato secondo alcuni con contributi attribuibili a Cola dell’Amatrice. Per il resto è in gran parte un ammasso di macerie. Proprio come Pescara del Tronto.

Abitazioni out, strade inagibili, macerie ovunque, dopo quasi dieci mesi dalle prime scosse, avvenute alle 3.36 di mercoledì 24 agosto 2016. Non solo a Capodacqua, Tufo e Pescara del Tronto, paesi che sembrano esistere quasi soltanto nei ricordi dei loro ex abitanti, come Berardina e Marco. Ormai il “sappiamo che la credibilità e l’onore di tutti noi sta nel garantire una ricostruzione vera che consenta agli abitanti di questi luoghi di continuare a vivere in questa comunità”, pronunciato dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi nell’immediatezza dell’evento sismico, si è tramutato in una promessa, vuota. Anche quei piccoli centri non hanno più alcuna comunità.

La circostanza che delle 840mila tonnellate stimate per le Marche, ne siano state rimosse appena 63mila fa capire la situazione. La notizia che il costo per raccolta, carico, trasporto, cernita, separazione e recupero è di 50 euro a tonnellata, fornisce forse un altro elemento di comprensione dell’intera vicenda. Già perché alla fine si prevede che per le macerie saranno spesi almeno 42 milioni di euro. Insomma una bella cifra. Sembra proprio che non rimanga che sperare nell’appeal di quella somma perché sia fatta davvero tabula rasa. Perché le macerie siano portate via. Certo è che il precedente de L’Aquila e dei paesi colpiti dal sisma del 2009 non conforta. In troppi casi i cumuli di materiale edilizio sono ancora lì. Dopo otto anni.

Per Berardina e Marco l’attesa rischia di essere ancora lunga. In barba alla “credibilità” e all’ “onore” dei quali parlava Renzi.

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