“Tanti campi di rifugiati sono di concentramento per la folla di gente che è lasciata lì”. Mentre al Senato è in corso il dibattito infuocato sulla legge sullo ius soli, le parole e soprattutto le politiche attuate da Papa Francesco in favore dell’accoglienza dei migranti entrano a gamba tesa nel confronto.
Un tema, quello dei profughi, che è da sempre al primo posto nell’agenda del pontificato di Bergoglio che non a caso ha voluto iniziare i suoi viaggi da Lampedusa, la porta d’Europa per tanti migranti che fuggono da fame, guerre e violenze. In quell’occasione Francesco non si limitò soltanto a ricordare i tanti, troppi, profughi morti nel Mediterraneo, ma denunciò con forza la “globalizzazione dell’indifferenza” davanti a queste tragedie. Così come forte, anche se purtroppo non molto ascoltato, è stato l’appello del Papa rivolto a ogni parrocchia e santuario d’Europa ad accogliere almeno una famiglia di migranti, come ha fatto il Vaticano.
“I popoli generosi che accolgono i migranti – ha sottolineato recentemente il Papa incontrando i profughi accolti dalla Comunità di Sant’Egidio – devono portare avanti anche questo peso, perché gli accordi internazionali sembra che siano più importanti dei diritti umani”. “Pensiamo alla crudeltà – ha proseguito Francesco commemorando i ‘nuovi martiri’ del XX e XXI secolo – che oggi si accanisce sopra tanta gente; lo sfruttamento della gente. La gente che arriva in barconi e poi resta lì, nei Paesi generosi come l’Italia e la Grecia che li accolgono, ma poi i trattati internazionali non lasciano. Se in Italia – ha aggiunto il Papa – si accogliessero due migranti per municipio ci sarebbe posto per tutti. E questa generosità del sud, di Lampedusa, della Sicilia, di Lesbo, possa contagiare un po’ il nord. E’ vero: noi siamo una civiltà che non fa figli, ma anche chiudiamo la porta ai migranti. Questo si chiama suicidio”.
Un tema che il Papa ha ribadito nella sua recente visita al Quirinale: “Per quanto riguarda il vasto e complesso fenomeno migratorio, è chiaro che poche nazioni non possono farsene carico interamente, assicurando un’ordinata integrazione dei nuovi arrivati nel proprio tessuto sociale. Per tale ragione, è indispensabile e urgente che si sviluppi un’ampia e incisiva cooperazione internazionale”.
Parole sempre accompagnate da gesti forti. Al viaggio a Lampedusa, infatti, è seguito quello al campo profughi dell’isola di Lesbo dove il Papa ha realizzato il primo corridoio umanitario portando con sé in Italia tre famiglie di rifugiati dalla Siria: 12 persone, tutte musulmane. Profughi ospitati dalla Comunità di Sant’Egidio che, grazie ad accordi con i governi italiani e francesi e con la Cei, ha già realizzato numerosi corridoi umanitari. “Imploro – è stato l’appello di Francesco a Lesbo – una soluzione per questa grave crisi umanitaria. L’Europa venga in aiuto”.
E in una dichiarazione congiunta, firmata con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e con il Primate della Chiesa ortodossa greca Ieronymos, i tre leader religiosi hanno esortato “tutti i Paesi, finché perdura la situazione di precarietà, a estendere l’asilo temporaneo, a concedere lo status di rifugiato a quanti ne sono idonei, ad ampliare gli sforzi per portare soccorso e ad adoperarsi insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà per una fine sollecita dei conflitti in corso”.
Tra i gesti compiuti dal Papa per concretizzare i suoi numerosi appelli all’accoglienza dei migranti, un posto speciale lo occupa la celebrazione del Giovedì Santo al Cara di Castelnuovo di Porto. In quell’occasione Bergoglio ha lavato i piedi a 12 profughi. Gesti e non solo parole di un Papa che ricorda spesso di essere figlio di migranti italiani in Argentina. “Guardo all’Italia – ha sottolineato il Papa al Quirinale – con speranza. Una speranza che è radicata nella memoria grata verso i padri e i nonni, che sono anche i miei, perché le mie radici sono in questo Paese”. La speranza che non si chiudano mai le porte ai profughi e che si riconoscano i loro diritti.