Sulla tomba di don Lorenzo Milani oltre alla data di nascita (1923) e a quella di morte (26 giugno 1967) c’è un’altra scritta: “Priore a Barbiana dal 1954”.
A cinquant’anni dalla morte del sacerdote che pochi mesi prima di andarsene pubblicò Lettera a una professoressa e a oltre sessant’anni da quel 7 dicembre del 1954 quando per la prima volta il prete “scomodo” arrivò sotto la pioggia in quella piccola frazione di Vicchio, senza acqua, luce e strade, Papa Francesco ha scelto di mettere piede nella canonica dove sono nati testi che dopo mezzo secolo continuano a far discutere. Bergoglio siederà ancora su quelle panche di legno costruite dai ragazzi nell’officina, vedrà ancora l’astrolabio autoprodotto con il quale il priore e i suoi ragazzi osservavano il cielo e quell’I care appeso alla parete che don Lorenzo aveva scelto in opposizione al motto fascista Me ne frego.

Di lui in questo anno si è scritto e si è detto tanto. Gli unici a poter parlare di quell’uomo, di quel sacerdote, di quel maestro sono i suoi ex allievi. Per conoscere il pensiero del priore bisogna andare a Barbiana e leggere le sue opere a partire da Esperienze pastorali, Lettera a una professoressa, Lettera ai cappellani militari” e quella Ai giudici ma per sapere della sua vita prima di essere prete è utile leggere lo scrittore Eraldo Affinati con il suo L’uomo del futuro (Mondadori).

Nato a Firenze da una famiglia borghese era cresciuto con una madre che proveniva da una famiglia di ebrei boemi ma si dichiarava come il padre agnostica e anticlericale. La famiglia Milani trasferitosi a Milano nel 1930 per salvarsi dal regime fascista era stata costretta a battezzare i figli. Lorenzo nel capoluogo lombardo si era avvicinato all’arte che mai lo abbandonò nella sua vita. E nel clima milanese era venuto a contatto con famiglie borghesi come quella di Pietro Ichino, il Pierino di Lettera a una professoressa.

La conversione arriva nel 1943: il 9 novembre di quell’anno entra in seminario e il 13 luglio 1947 viene ordinato prete nel duomo di Firenze. La sua prima breve esperienza è a Montespertoli ma poco dopo viene inviato a San Donato di Calenzano dove inizia la sua missione come prete e maestro. Se lo ricorda bene Maresco Ballini, 86 anni: “Avevo sedici anni quando è arrivato qui. La prima volta l’ho incontrato la domenica, tre giorni dopo il suo ingresso in paese: era ansioso di conoscere i giovani. In quei giorni si era informato dalle nostre mamme su chi erano i ragazzi che frequentavano la parrocchia”. Indimenticabili le sue omelie: “Gli altri preti facevano la solita predica, lui ci raccontava la vita di Gesù. Il catechismo in uso allora era ancora quello di Pio X, lui disse che era ‘didatticamente inservibile’. Da quel momento iniziò a scriverlo con i ragazzi durante l’ora della dottrina. Si meditava punto per punto, parola per parola. Arrivò a fare 29 lezioni anche se ne aveva programmate 32″.

Subito si era capito da che parte stava quel prete: “Era schierato per gli ultimi che per lui erano i privilegiati: stava a parlare per ore con un ragazzo per strada così come cercava di attaccare discorso con i comunisti”. Così molti giovani si presentarono alla sua scuola serale popolare per contadini e operai: “Riuscì a portare alla scuola la gran parte dei ragazzi che avevano come Chiesa la casa del popolo. Lui aveva dimostrato che avrebbe detto sempre la verità indipendentemente dal fare un piacere o un dispiacere alla “sua ditta” come chiamava lui la Chiesa. Era al di sopra delle parti. Iniziò a essere inviso dagli altri preti che hanno fatto tanto per mandarlo via. Parafulmine per lui era il vecchio parroco che lo ha sempre difeso. Don Lorenzo in una lettera alla madre nel 1952 gli raccontò che a San Donato non c’era più spazio e sicuramente lo avrebbero cacciato ma aggiunse testuali parole: “In quanto a San Donato io ho la superba convinzione che le cariche di esplosivo che ho accumulato in questi cinque anni non smetteranno di scoppiettare per oltre cinquant’anni sotto il sedere dei miei vincitori”.

E lì, prima ancora di Barbiana, il giovane don Milani inizia a dare lezioni di vita: “Aveva due obiettivi. Il primo era quello di elevarci, molti di noi non avevano fatto nemmeno la quinta elementare. La prima ora era dedicata a questo e poi insieme si affrontavano un problema letto sui quotidiani o capitato ad un ragazzo. Lui la chiamava ‘scuola di vita’. Non aveva un programma. Don Lorenzo diceva ‘Vi voglio far diventare sovrani’ per decidere con la vostra testa e la vostra coscienza”.

Quando nel 1954 viene allontanato e spedito a Barbiana non si perde d’animo. Arriva in un luogo fuori dal mondo sotto la pioggia battente con due donne: Eda Pelagatti e sua mamma Giulia che lo avevano “accudito” nella sua esperienza a San Donato.

Nella frazione di Vicchio, si accorge che il lavoro da fare subito è con i ragazzi, con quei bambini che vivono tra i monti, che sono portatori di una grande esperienza di vita. In un paio di stanze della canonica inizia a far lezione: una scuola senza campanella, senza orario e giorno. “Dai sette ai diciotto anni ho vissuto con lui a Barbiana – racconta  Francuccio Gesualdi, oggi fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo – Mentre gli altri ragazzi alla sera tornavano a casa noi restavamo lì. Don Lorenzo era coerente, non sceglieva mai il tornaconto personale, la comodità. C’era uno stile di vita educativo collegiale e comunitario: era il maestro, il prete e il padre. Era severo con se stesso prima che con gli altri: chiedeva coerenza. Coltivava molto il rapporto personale con ciascuno di noi, si accertava che ci fosse sempre comprensione perché in questo modo c’era crescita”.

Gesualdi ricorda anche i momenti di lezione: “Gli piaceva disegnare, era molto umoristico e creativo. Non dava mai i voti, non esisteva la correzione dei temi ma una riflessione. Venivano letti ad alta voce, non li correggeva da solo ma lo si faceva tutti insieme proponendo dei commenti. Può sembrare incomprensibile rispetto al modo tradizionale di fare scuola ma era così. Apprendevamo nella maniera meno noiosa possibile: la scuola doveva essere piacevole e lo era perché ci coinvolgeva”. Cinquant’anni dopo sono in tanti ad aver ripreso quelle parole per ricordare il messaggio del priore: dall’opera omnia pubblicata da Mondadori nella collana “Meridiani” diretta da Alberto Melloni alla prima e meticolosa edizione critica di “Lettera ai cappellani militari e ai giudici” a cura dello storico della Chiesa Sergio Tanzarella, alla rilettura della Lettera a una professoressa contestualizzata nella scuola del 2017 scritta per Add dal giornalista sportivo Andrea Schiavon, al libro pubblicato dal suo ex allievo, Michele Gesualdi, Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana, pubblicato da San Paolo Edizioni.

Ma per chi volesse conoscere ancora più in profondità il priore dovrà andare a recuperare anche Il segreto di don Milani di Mario Lancisi; La parola fa eguali pubblicata dalla Libreria Editrice Fiorentina che ha il merito di aver per prima accolto gli scritti del priore e ancora studiare L’analisi spirituale e l’interpretazione pedagogica dello spagnolo José Luis Corzo, uno dei principali studiosi del pensiero milaniano. Ma sono anche le fotografie a parlare come quelle raccolte nel libro curato da Sandra Gesualdi e Pamela Giorgi, Barbiana e la sua scuola. Immagini dall’archivio della Fondazione Don Lorenzo Milani.

Non ultimo resta il ricordo che Alex Langer fa di don Milani, pubblicato nella raccolta di scritti Il viaggiatore leggero (Sellerio Editore): “Con un amico andai a trovarlo, dopo lo scoppio della polemica sull’obiezione di coscienza. Ci ricevette nella sua canonica, rubando un po’ di tempo ai ragazzi ed alla scuola. Due tra le cose da lui dette mi sono rimaste particolarmente impresse: ‘Dovete abbandonare l’università. Voi non fate altro che aumentare la distanza che c’è tra voi e la grande massa della gente non istruita. Fate piuttosto qualcosa per colmare quella distanza. Portare gli altri al livello in cui vi trovate voi oggi. E poi tutti insieme si farà un passo avanti, e poi un altro ancora, e così via. Ma se voi continuate a correre gli altri non vi raggiungeranno mai'”.

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