Telecom Italia mette alle strette il governo Gentiloni. E lo costringe a discutere del ruolo dell’ex monopolista nello sviluppo della fibra in Italia. Questa volta sono gli investimenti nelle aree a fallimento di mercato a rappresentare il cavallo di Troia del gruppo controllato dalla Vivendi di Vincent Bolloré. Tim, la ex Telecom Italia, ha dichiarato che non parteciperà alle gare per l’accesso ai fondi pubblici, ma che farà autonomamente investimenti nelle stesse aree in cui è impegnata Open Fiber, la società dell’Enel fortemente sponsorizzata da Matteo Renzi e vincitrice finora di tutti i bandi emanati dall’azienda pubblica Infratel.
Per Tim, che ha fatto ricorso contro i bandi Infratel, l’investimento in aree bianche (così vengono chiamate in gergo quelle “a fallimento di mercato”, dove gli operatori non hanno convenienza a investire) è un impegno notevole, in parte mitigato dal fatto di possedere già una capillare infrastruttura in rame. Per Open Fiber, la strategia di Tim è invece una vera e propria sciagura perché rimette in discussione i numeri di un piano industriale che già sconta difficoltà tecniche di non poco conto. In futuro, infatti, Tim e Open Fiber si troverebbero a spartirsi il mercato in aree già di per sé scarsamente remunerative. Con il risultato che si assottiglierebbero i ritorni dell’investimento.
Ecco perché, alla notizia della nuova strategia di Tim sulle aree bianche, il ministro per il Mezzogiorno Claudio De Vincenti ha minacciato di chiedere i danni all’ex monopolista nel caso in cui l’azienda “passasse dagli annunci ai fatti”. Il ministro Carlo Calenda ha invece usato toni più concilianti facendo sapere che convocherà “i vertici di Tim per aprire un confronto diretto”. Ma su quale tema esattamente? La società guidata da Flavio Cattaneo ha già fatto sapere di non aver mai assunto alcun impegno a non investire nelle aree a fallimento di mercato. Senza contare che le decisioni di investimento di un’azienda rientrano nella sfera dell’autonomia d’impresa e possono essere modificate in funzione dell’interesse del gruppo.
L’unico argomento di discussione può quindi essere il futuro della rete in rame di Tim, erroneamente privatizzata negli anni ‘90 assieme alla società di telefonia. Due le ipotesi sul tavolo. La prima è la cessione del network in rame allo Stato con una valutazione che potrebbe variare dai 4 ai 9 miliardi e con il simultaneo passaggio ad una nuova società anche di circa 10mila dipendenti Telecom che lavorano nell’infrastruttura. La seconda opzione prevede l’ingresso di Telecom direttamente in Open Fiber secondo un progetto già discusso invano nel pieno del passaggio di mano di Metroweb, finita al gruppo controllato da Enel e Cdp nonostante l’ex monopolista avesse fatto un’offerta migliore.
La questione degli investimenti nelle aree bianche è ben più complessa di quanto possa apparire e la soluzione non è affatto a portata di mano, perché il governo non vuole strapagare un’infrastruttura considerata obsoleta, seppur utile ad abbattere i costi di investimento nella fibra. Inoltre l’esecutivo non è disposto a cedere a Telecom il controllo di Open Fiber o della eventuale nuova società in cui confluirebbe il network in rame dopo la separazione. Tuttavia è intenzionato a evitare una duplicazione della nuova rete in fibra senza perdere l’opportunità di sfruttare i fondi europei che vanno spesi entro il 2018.
La partita è insomma decisamente aperta e si intreccia con la possibilità di un ricambio ai vertici di Telecom. L’arrivo alla presidenza di Tim di Arnaud de Puyfontaine e l’ingresso in consiglio dell’ex presidente Telecom Franco Bernabé hanno infatti ridimensionato il ruolo di Cattaneo che rischia di veder sfumare il superbonus di risultato 2019 promesso da Tim ad aprile dello scorso anno. Premio che, in base all’accordo con l’azienda, riceverebbe a prescindere dai risultati se il contratto fosse scisso prima del previsto. A meno che l’azienda non decida di affidare anzitempo la guida di Tim a qualcuno più gradito al governo come Bernabé, il manager che da tempo si batte proprio per la separazione della rete.