Parlando ieri all’assemblea nazionale di Confartigianato, il responsabile dello Sviluppo Economico ha sottolineato che con questo tipo di misura non si fa altro che "aumentare il carico per chi paga le tasse". "Bisogna investire sulla competitività delle imprese diminuendo la pressione fiscale" ha detto. M5s: "Il governo si limita a fare il gioco delle tre carte facendo finta di intervenire sulla povertà senza nemmeno intervenire in modo adeguato sulle politiche del lavoro"
Il reddito di cittadinanza? “Una aberrazione anche dal punto di vista dei valori. E’ molto più facile dare un reddito che dare un lavoro” ma si tratta di una misura “ideologica” che risponde “allo stesso criterio con sui si usava la spesa pubblica negli anni ’80 e ’90”, cioè “l’assistenzialismo“. Il ministro Carlo Calenda, parlando ieri all’assemblea nazionale di Confartigianato, non ha usato giri di parole per riproporre la sua linea di pensiero, sottolineando che con il reddito di cittadinanza non si fa altro che “aumentare il carico per chi paga le tasse”. “Non è questa la strada, bisogna investire sulla competitività delle imprese diminuendo la pressione fiscale” ha detto il responsabile dello Sviluppo Economico, cogliendo l’assist del presidente degli artigiani Giorgio Merletti, a favore di un “lavoro di cittadinanza e non di un reddito di cittadinanza”.
La presa di posizione di Calenda, del resto, non è una novità: per lui il problema numero uno in Italia era e resta il lavoro. Da qui la ricetta per il rilancio di crescita e occupazione, che non può non passare dal rafforzamento della produttività delle imprese. Il Movimento 5 Stelle, ovviamente, non è d’accordo con Calenda e ha ribadito che il reddito di cittadinanza è un “pilastro” per aiutare chi davvero vuole rimettersi in gioco attraverso la formazione, la riqualificazione, il reinserimento nel mondo del lavoro. “Non è assistenzialismo” ha sottolineato la portavoce del MoVimento 5 Stelle Nunzia Catalfo, secondo cui “il governo si limita a fare il gioco delle tre carte facendo finta di intervenire sulla povertà senza nemmeno intervenire in modo adeguato sulle politiche del lavoro”. Per il MoVimento 5 Stelle, invece, “investire nei servizi per l’impiego e nelle politiche attive del lavoro, cosa che il governo non ha fatto né in passato né attualmente, è una priorità. Dal governo e dal Pd non accettiamo lezioni”.
Parole che non scalfiscono le certezze di Calenda, la cui linea del rilancio delle imprese come volàno per la crescita – ci tiene a precisare – non è certo diversa da quella portata avanti nei mille giorni del governo Renzi, “di cui ho fatto parte e rivendico l’azione” e che è stato “il più vicino alle imprese che ci sia stato in Italia“. Il ministro ha cercato di scrollarsi di dosso i retroscena e le letture ‘politiche’ delle sue parole, che lo vogliono in netta contrapposizione proprio con l’ex premier, alla ricerca comunque di un ruolo attivo anche in un prossimo esecutivo. “Ho già detto quale sarà il mio futuro in maniera chiara“, e cioè di ‘ministro pro-tempore‘ che a fine legislatura non cercherà altri ruoli. E non si dica, ha specificato, che la richiesta di andare alla fiducia sul ddl concorrenza sia un tentativo di pressing in questo senso: l’ok al provvedimento “senza ulteriori modifiche è dirimente per una questione di serietà del Paese, non ha nulla a che fare con liste, listoni, listini”, ha chiarito, proprio mentre alla Camera le commissioni Finanze e Attività produttive hanno iniziato a votare i circa 250 emendamenti e ancora non è del tutto escluso che il testo possa essere riaperto.
Ma, ha sottolineato Calenda, è lo stesso Pd, che ha messo la firma sul ddl e ha voluto quei contenuti, che “non può permettersi di non chiudere”. Il paese, ha aggiunto, “si è impegnato a fare una legge annuale e non riesce ad approvare una legge che sta diventando quinquennale. Dobbiamo chiudere e portarla a casa”, “spero la prossima settimana”. Calenda non ha rinunciato però nemmeno a ribadire la sua preferenza per incentivi mirati e automatici come super e iperammortamento, che si valuterà solo in autunno se prorogare, e per un taglio del costo del lavoro, meglio se concentrato sui giovani, e a “investire con chi investe”. Chi immagina un taglio dell’Irpef, ha detto ricevendo numerosi applausi dalla platea, “si illude di dare una piccola fiammata ai consumi che non arriva perché per poterlo fare devi mettere in ballo una quantità di risorse enorme”. Certo, si tratta di una scelta “politicamente più semplice” ma “penso che ci sia sottovalutazione degli italiani nell’idea che devi dargli slogan o contentino per cercare di portarteli a casa”.