Ho seguito la convention al teatro Brancaccio, io che di convention della sinistra ne ho viste tante, a partire dalla fondazione del Movimento per la Rifondazione comunista e ne ho ricavato la convinzione che i giudizi possono essere espressi da due punti di vista.
Da quello degli organizzatori della convention, il bilancio è senz’altro positivo. Le varie anime della sinistra si sono presentate all’appuntamento, compreso Massimo D’Alema. Certo, sul piano meramente organizzativo, quando si smetterà di pensare solo alla sequenza orizzontale di interventi per lo più identici e si cercherà di costruire appuntamenti tematici e/o di svisceramento di alcuni temi cruciali – al tempo dei Social forum si discuteva ore prima di definire le modalità di un meeting pubblico – sarà sempre troppo tardi. Così come quando si recupererà un di più di trasparenza, magari illustrando a inizio riunione l’elenco di chi dovrà intervenire spiegandone chiaramente i criteri di selezione.
La riunione è riuscita soprattutto per un motivo tutto politico: ha collocato l’iniziativa di una sinistra alternativa al Pd al centro dello schiacchiere, ha costretto le altre propensioni a uscire maggiormente allo scoperto e ha dinamizzato la discussione. Tanto che osservatori speciali, come Paolo Mieli sul Corriere della Sera, hanno subito avvertito dei rischi di una sinistra troppo “estremista” e incapace di pensare alle dovute alleanze. Critiche che il Corsera muove a qualunque cosa si muova a sinistra dall’inizio degli anni 90.
E’ stato un successo, invece, rimettere intorno al tavolo tutti, da Sinistra italiana a Rifondazione comunista, dal Mdp di Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema a Possibile di Pippo Civati passando per la sempre esaltata “sinistra sociale”, Fiom in testa. L’operazione, allo stesso tempo, ma sempre restando all’interno delle motivazioni e delle attese di chi l’ha promossa, sconta un limite evidente: l’elettoralismo. Tutta l’assemblea è stata pervasa da questo unico aspetto: mettersi insieme in vista delle elezioni, costruire una lista competitiva, “a due cifre se no non serve”, come improvvidamente annunciato da Tomaso Montanari, promotore, insieme ad Anna Falcone, dell’incontro. Visti i tempi, si può legittimamente sperare in una chance elettorale alternativa al Pd e non lasciare una parte del campo politico scoperta. E da questo punto di vista, non fa nessuno scandalo che si mettano insieme tutti quelli che ci stanno e che condividono un programma comune, anche se si chiamano Massimo D’Alema. Vedano loro se riusciranno a costruire un programma coerente e convincente, se il progetto sarà davvero alternativo al Pd, e se sarà dotato di appeal elettorale. In fondo, è legittimo tentare, come ha tentato, con qualche successo e qualche ammacco, Jean Luc Melenchon in Francia.
Il problema, ecco l’altro punto di vista, è se davvero ci salveranno le scommesse elettorali. Sul piano della stretta emergenza sembra di sì: il razzismo di Salvini, la demagogia di Renzi e anche l’involuzione del M5S chiedono questa risposta. Ma servirà? Anche se si dovesse affermare una forza a due cifre, il 10%, a sinistra del Pd, al di là della naturale soddisfazione per una sinistra che riequilibra i rapporti di forza parlamentari, che impatto strutturale potrebbe avere questo dal punto di vista sociale? In oltre venti anni di fortune alterne sul piano elettorale – chi scrive ha vissuto anche la fase del Prc all’8% quando alla sua destra c’erano i Ds e non il Pd di Renzi – la società italiana si è sgretolata sul piano dei vincoli di solidarietà e sul piano della coscienza civile. Pensare che il voto del 4 dicembre sul referendum costituzionale abbia invertito questa tendenza è una illusione pericolosa che contribuirà a commettere nuovi e più gravi errori.
Più legittimo ipotizzare che un buon risultato, a cui per forza di cose fare da contraltare un cattivo risultato del Pd, servirebbe a mettere definitivamente in crisi Matteo Renzi, scalzandolo dalla segreteria Pd, per riaprire, così, i confini delle alleanze politiche. Del resto, non governano insieme al Pd in molte città anche quelle forze di sinistra-sinistra che sul piano nazionale dicono “mai con il Pd”? Lo scopo di fondo sembra oggi essere questo e la vicenda di Giuliano Pisapia lo dimostra. Anche per questo, al momento, sembra più probabile che si allestiscano due liste di sinistra, una alleata al Pd e l’altra no, a meno che non sia Renzi a risolvere il problema chiudendo le porte a ogni dialogo con Pisapia e compagni.
Anche per questo la sfida per qualsiasi sinistra si pone direttamente sul terreno della ricostruzione sociale del proprio agire e della riedificazione culturale della prospettiva – si veda il lamento di Bruno Trentin raccolto nei suoi diari per capire quanto tempo è stato perduto. Sociale, per capirci, significa quanta società si struttura attorno a valori di solidarietà e mutualismo, quanti legami si tengono vivi, nelle lotte, nelle vertenze, ma anche nella vita quotidiana, quanto riparo riesce a essere edificato contro l’austerità e la crisi incessante dell’economia globale. “Se otteniamo un buon risultato elettorale, poi ci occuperemo meglio anche di questo” propongono in tanti. La storia passata non conferma questa ambizione.
Sul terreno sociale, infatti, a parte esperienze generose di sindacalismo conflittuale e ampie aree di solidarismo cattolico o comitati locali ed esperienze, ancora solo esemplari, di mutualismo economico e civile, non lavora e non si interroga nessun frammento della sinistra frammentata. Recentemente Sinistra Italiana è parsa scoprire il problema ma solo istituendo un fondo di sostegno (peraltro finanziato con soli 100.000 euro) senza andare oltre. Se n’era parlato all’interno della Coalizione sociale promossa dalla Fiom di Landini, ma è stato solo un dibattito finito troppo presto.
Se davvero si vuole risalire la china, dal punto di vista storico, sociale e culturale, la questione è posta da tempo e i protagonisti principali del dibattito di quel che resta a sinistra ne sono anche consapevoli. Salvo, però, dedicare tutte le proprie energie alla scommessa elettorale, magari fine a sé stessa e senza prospettive. Qui sta il limite del Brancaccio e delle iniziative analoghe. Qui, il nodo dei compagni di strada che si scelgono, funzionali alle strade che si vogliono intraprendere. Se l’orizzonte è tutto elettorale, allora è chiaro che la sinistra può riunirsi anche con D’Alema e compagni; se la prospettiva fosse quella della ricostruzione del tessuto sociale e delle idee necessarie a consolidarlo, la compagnia sarebbe tutt’altra. E forse non si porrebbe nemmeno il problema delle elezioni.