Secondo quanto stabilito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, in mancanza di consenso scientifico, “il difetto di un vaccino e il nesso di causalità tra il difetto stesso e una malattia possono essere provati con un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti”. La sentenza è stata emessa in relazione alla causa che vede opposti un cittadino francese, colpito da sclerosi multipla, e Sanofi Pasteur, produttrice di un vaccino contro l’epatite B.
La vicenda per quale si è pronunciata la Corte di giustizia dell’Unione europea inizia tra la fine del 1998 e la metà del 1999, quando all’uomo viene somministrato un vaccino anti-epatite B forse difettoso. Nel novembre del 2000, dopo vari disturbi iniziati nell’anno precedente, è arrivata la diagnosi di sclerosi multipla che ha portato al decesso nel 2011. Fin dal 2006, insieme alla sua famiglia, l’uomo ha promosso un’azione giudiziaria contro Sanofi Pasteur per ottenere il risarcimento del danno che affermava di aver subìto a causa dell’ipotizzato difetto del vaccino.
Il primo giudice a essere interpellato era stato il Tribunale di prima istanza di Nanterre nel settembre 2009. Ma due anni più tardi, la Corte d’appello di Versailles aveva riformato la sentenza affermando che “gli elementi da essi dedotti erano idonei a far sorgere presunzioni gravi, precise e concordanti quanto all’esistenza di un nesso di causalità tra l’inoculazione del vaccino in questione e l’insorgenza della malattia, ma non quanto all’esistenza di un difetto di tale vaccino”.
La Corte di cassazione ha però annullato la sentenza il 26 settembre 2012 ritenendo che la Corte d’appello di Versailles, pronunciandosi, “con considerazioni di ordine generale, sul rapporto rischi/benefici della vaccinazione e dopo aver riconosciuto, alla luce delle eccellenti condizioni di salute pregresse del sig. W, dell’assenza di precedenti familiari e della prossimità temporale tra la vaccinazione e la comparsa della malattia, che esistevano presunzioni gravi, precise e concordanti che consentivano di affermare che il nesso di causalità tra la malattia e l’assunzione del vaccino era sufficientemente dimostrato, senza esaminare se le circostanze particolari da essa così ravvisate non costituissero altresì presunzioni gravi, precise e concordanti tali da dimostrare il carattere difettoso del vaccino, non avesse fornito una base giuridica alla propria decisione”.
Pronunciandosi su rinvio a seguito della Cassazione, la Corte d’appello di Parigi ha riformato la sentenza del Tribunale di prima istanza di Nanterre e ha respinto il ricorso di W. nel marzo 2014. Secondo il giudice, “non vi era consenso scientifico a favore dell’esistenza di un nesso di causalità tra la vaccinazione contro l’epatite B e l’insorgenza della sclerosi multipla, e che l’insieme delle autorità sanitarie nazionali e internazionali ha escluso l’associazione tra la probabilità di essere colpiti da malattia demielinizzante centrale o periferica (caratteristica della sclerosi multipla) e tale vaccinazione”. E ha quindi respinto il ricorso. I famigliari del cittadino francese hanno però impugnato la sentenza davanti alla Corte di cassazione che, a sua volta, ha sospeso il giudizio ha sottoposto alla Corte alcune questioni pregiudiziali.
Per i giudici della Ue, la vicinanza temporale tra la somministrazione del vaccino – probabilmente difettoso – e l’insorgenza della malattia, l’assenza di precedenti personali e familiari e “l’esistenza di un numero significativo di casi repertoriati di comparsa di tale malattia a seguito di simili somministrazioni” possono costituire indizi sufficienti a formare una simile prova anche “in mancanza di consenso scientifico”. La Corte precisa che i giudici nazionali devono assicurarsi che gli indizi prodotti siano effettivamente gravi e precisi da consentire di concludere che l’esistenza di un difetto del prodotto appare la spiegazione più plausibile dell’insorgenza del danno.
“Escludere qualunque modalità di prova diversa dalla prova certa tratta dalla ricerca medica avrebbe l’effetto di rendere eccessivamente difficile o, quando la ricerca medica non permette di stabilire né di escludere l’esistenza di un nesso di causalità, addirittura impossibile far valere la responsabilità del produttore – sostiene la Corte – Il che comprometterebbe l’effetto utile della direttiva nonché i suoi obiettivi: tutelare la sicurezza e la salute dei consumatori e garantire una giusta ripartizione dei rischi insiti nella produzione tra il danneggiato e il produttore”.