Niente da fare. Il ddl Concorrenza, arrivato vicino al varo parlamentare dopo quasi due anni e mezzo dall’approvazione in Consiglio dei ministri, dovrà tornare al Senato per la quarta lettura. Le commissioni Attività Produttive e Finanze della Camera hanno infatti approvato grazie a un asse trasversale formato da Dem, Fi, Lega, Mdp e M5S quattro emendamenti di esponenti Pd che il governo aveva invece chiesto di ritirare. Risultato: l’agonia continua e il ddl rischia l’oblio, a meno che il governo Gentiloni non chieda la fiducia anche a Palazzo Madama. Sconfitto il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, che da mesi chiedeva un’accelerazione e questa mattina aveva detto: “Spero proprio che il Pd non si trasformi dal partito che doveva rottamare le rendite e le caste nel partito che invece rottama la concorrenza”.
Oggi il titolare di via Veneto ha definito la decisione “difficilmente comprensibile” aggiungendo che “rischia di trasmettere l’ennesimo segnale negativo su questo tema per cittadini, imprese e istituzioni internazionali”. Contro le modifiche al provvedimento si sono schierati anche i deputati di Ap. Gli alfaniani hanno accusato Matteo Renzi di “fare inciuci, ancora una volta con Fi”. Raffaello Vignali, capogruppo Ap in commissione Attività produttive della Camera, ha detto che “tutti pretesti per archiviare definitivamente il provvedimento”.
Nuovo fronte di scontro, quindi, tra i dem e il potenziale federatore e leader di un nuovo soggetto politico di centro o di un centrosinistra allargato. A fine maggio l’oggetto del contendere era stato l’emendamento del Pd alla manovra correttiva che ha messo fuori mercato Flixbus, dopo che a febbraio una proposta identica al Milleproroghe era stata disinnescata in extremis. “Decisamente non è un buon periodo per concorrenza in Italia”, aveva twittato Calenda. Il quale a marzo aveva preso chiaramente le distanze da Renzi bocciando la politica dei bonus perché “per creare lavoro e reddito non servono scorciatoie“.
Ettore Rosato, capogruppo del Pd alla Camera, ha negato le “letture politiche” dicendo che le correzioni sono state “condivise da gran parte della maggioranza e dell’opposizione, su questioni già emerse nel dibattito al Senato e su cui non si era potuto intervenire per la fiducia”. Secondo Calenda invece i quattro emendamenti al ddl Concorrenza approvati in commissione erano tutt’altro che fondamentali: “Sono chiarificatori e non sostanziali, non mettono in discussione la sostanza degli articoli a cui si riferiscono”, aveva spiegato parlando a Radio24, “ho dato l’impegno del Governo a risolvere queste questioni in vario modo e ho chiesto di ritirare gli emendamenti, spero che si faccia e che si approvi il testo. Il Parlamento fa le leggi, facessero la legge”.
Nel merito, uno degli emendamenti riguarda il mercato dell’energia elettrica e prevede la cancellazione delle “procedure concorsuali” che erano previste, dopo l’addio al mercato tutelato, per assicurare il cosiddetto servizio di salvaguardia ai clienti che non abbiano scelto un fornitore sul libero mercato. Secondo il presidente della Commissione Industria del Senato Massimo Mucchetti “è stato scritto dall’Enel”. Il secondo disinnesca l’emendamento sul telemarketing inserito dall’M5s nel passaggio alla Camera, che secondo il garante della privacy apre la strada a telefonate selvagge ai numeri di cellulare perché consente di chiedere l’autorizzazione nel corso della prima chiamata. Le altre due richieste di modifica riguardano il ripristino del tacito rinnovo delle assicurazioni per la responsabilità danni e le norme sul titolo abilitativo dei titolari di società di odontoiatria.
Il governo dal canto ha smentito di avere responsabilità nell’accaduto facendo sapere, con la ministra per i Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro, che “ritiene che il provvedimento vada approvato definitivamente nel più breve tempo possibile, dopo un esame parlamentare durato circa due anni”. Di conseguenza, aveva anticipato Finocchiaro, “se la Camera apporterà modifiche al testo rinviandone l’approvazione definitiva, il governo, come ha sempre fatto, ne chiederà la più rapida calendarizzazione alla Conferenza dei Capigruppo al Senato”.