Fra tutte le scempiaggini sentite in questi giorni sullo Ius soli, in seguito al ddl presentato dal Pd in Senato, la peggiore credo sia quella lanciata da Sergio Rami de Il Giornale, che ha becerato “Questa è una sostituzione etnica“. In realtà si tratta di un riciclo scadente: la stessa formuletta lobotomica era infatti stata adoperata da Magdi (poco) Cristiano Allam, sempre su Il Giornale, che però l’aveva tirata fuori in occasione della polemica spuria sulle Ong che aiutano i migranti a non morire affogati nel Mediterraneo, un’azione che senza dubbio deve apparire riprovevole a chi sulle nostre coste sarà semmai venuto in prima classe con volo di linea, par bleu.
Se questo è il livello dei cosiddetti opinionisti e commentatori, figuratevi qual è il livello dei Mario Rossi. Gente che a suo tempo ha faticato duro per ottenere una licenza media, che tuttavia in epoca di social network si scopre ogni mattino in grado di sentenziare su qualunque tecnicalità, dal numero di vaccini da rendere obbligatori alle modalità di ottenimento della cittadinanza italiana.
Allora armiamoci di pazienza. Esistono due tipi principali di diritto alla naturalizzazione: Ius soli (diritto del territorio, espressione giuridica che indica l’acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori) e Ius sanguinis (diritto del sangue, inteso come parentela, quando si eredita o si ottiene la cittadinanza in quanto parenti di qualcuno che già ce l’ha). Ultimamente si va facendo largo un terzo tipo: lo Ius culturae, ossia quando si acquisisce la cittadinanza previa il passaggio di un test di cittadinanza apposito (particolarmente interessanti quelli canadesi e britannici, che includono anche serie nozioni di Storia patria, oltre che delle lingue ufficiali), o magari dopo aver ultimato un ciclo di studi obbligatori nel Paese in cui si è nati, o in cui si è arrivati in giovane età.
Sono ben pochi gli Stati che usano solo lo Ius soli o solo lo Ius sanguinis. Un paese a Ius soli preponderante sono gli Stati Uniti d’America (e no, professor Erspamer di Harvard: non è “perché ai loro cittadini [gli Usa] non danno niente” [sic!], come se avere o non avere il passaporto Usa fosse antani per un cristiano; lo Ius soli americano è figlio delle condizioni storiche di un Paese che fu di frontiera e bisognoso di popolarsi, ovviamente). La situazione più comune è semmai una combinazione dell’uno con l’altro, magari con una spruzzata di Ius culturae; da qui termini come “Ius soli temperato [dallo Ius culturae]”. L’Italia ha oggi un sistema tra i più iniqui al mondo, in cui prevale il diritto di parentela su quello del territorio, ma prevede già alcune aperture di Ius soli. Quindi ampliare lo Ius soli non significa eliminare lo Ius sanguinis ma spostare il bilanciamento verso una posizione più al passo coi tempi.
Infatti, lo Ius sanguinis, nel mondo globalizzato di oggi, è sempre meno utilizzato dagli Stati in favore dello Ius culturae. L’Italia è uno di quei Paesi in cui il diritto di stirpe è ancora assai forte. Questo porta a situazioni assurde per cui lontanissimi discendenti di emigrati italiani dei quattro angoli del mondo, che non hanno mai messo piede in Italia né conoscono la lingua o pagano le tasse in Italia, possono ottenere la cittadinanza italiana senza problemi. Allo stesso tempo, bambini i cui genitori pagano le tasse qui, magari nati in Italia o arrivati qui da piccoli, che hanno l’italiano come lingua madre, che spesso parlano anche il dialetto della loro città, che vanno a scuola, cantano Rovazzi o Guccini e fanno l’album delle figurine Panini, restano apolidi o comunque non italiani fino al 18° anno d’età.
Bene, chi parla di “sostituzione etnica” e altre menate si rassicuri: stiamo parlando di bambini che, in ogni caso, al compimento dei 18 anni diventeranno cittadini italiani. Nessuno viene aggiunto dal ddl in discussione al Senato. Sul punto si è espresso in modo magistrale il blogger Fabristol, che invita i contestatari del ddl oltre che a imparare a leggere le proposte di legge prima di parlare anche a “imparare a controllare il piccolo omino tribale – libro e moschetto – che è in loro. […] Lo abbiamo capito che UGA-CHUGA-UGA-UGA la vostra tribù è importante e che volete difendere il vostro territorio UGA-CHUGA dalla contaminazione di altri geni. E che il villaggio con le capanne vi sta a cuore ma vi devo dare una brutta notizia: mentre eravate nella vostra capanna di paglia siamo arrivati nel 2017, un anno in cui la globalizzazione e’ arrivata in tutto il mondo, perfino in Italia, uno dei paesi con la piu’ bassa percentuale di stranieri in Europa”.
Tornando al ddl, si tratta di un disegno di legge che introduce uno Ius culturae, più che uno Ius soli temperato. Per usare le parole del giornale l’Avvenire, quanto di più lontano ideologicamente ci sia da chi vi scrive: “Non sarebbero automaticamente cittadine italiane tutte le persone nate nel nostro Paese. Ma potrebbero chiedere di diventarlo i nati in Italia da genitori stranieri, uno dei quali sia titolare di un permesso di soggiorno di lunga durata (il che significa da un genitore che da molti anni lavora qui, paga le tasse e non ha mai commesso reati)”. Gli anni di permanenza sul nostro territorio sarebbero dunque almeno 5 e il ddl ci avvicinerebbe alla situazione di Regno Unito, Grecia, Portogallo (5 anni anche lì). Va anche ricordato che il M5S era per uno Ius soli ancora più generoso: dovevano bastare 3 anni di permanenza in Italia come è scritto nella proposta di legge 1204 a firma Sorian, Di Maio, Di Battista e altri, presentata alla Camera il 14 giugno 2013, quindi in un’epoca molto lontana dal secondo turno dei ballottaggi di domenica prossima.
Il ddl si prende cura anche di quei minori stranieri non accompagnati che arrivano sulle nostre coste da soli. Se rimangono in Italia per almeno 5 anni frequentando le scuole, hanno diritto di cittadinanza.
I casi paventati di migliaia di donne nigeriane che partoriscono sulla spiaggia per avere un figlio italiano sono solo i cliché delle fantasie dei soliti razzisti. Il ddl esclude dalla domanda di cittadinanza anche altre categorie di stranieri, tipo quelli che in Italia:
a) soggiornino per motivi di studio o formazione professionale;
b) soggiornino a titolo di protezione temporanea o per motivi umanitari;
c) abbiano chiesto la protezione internazionale e siano in attesa di una decisione definitiva circa tale richiesta;
d) siano titolari di un permesso di soggiorno di breve durata;
e) godano di uno status giuridico particolare previsto dalle convenzioni internazionali sulle relazioni diplomatiche.