Il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato lo aveva appena accennato due settimane fa quando a Reggio Calabria ha partecipato a un convegno nazionale da Magistratura democratica. Le sue parole hanno anticipato il lungo ragionamento sviluppato nelle quasi mille pagine della relazione annuale della Direzione nazionale antimafia guidata dal procuratore Franco Roberti.
L’APPELLO DI SCARPINATO
In riva allo Stretto, il pg Roberto Scarpinato aveva definito le organizzazioni mafiose con la parola “mutante”: “Sempre più si va affermando nel panorama criminale una nuova soggettività complessa che i tecnici chiamano ‘sistemi criminali’ oppure ‘comitati crimino-affaristici’, che la stampa chiama ‘cricche’, ‘comitati d’affari’, ‘P3’ o ‘P4’, che sostanzialmente sono network di potere di cui fanno parte esponenti di mondi diversi, di quello politico, di quello finanziario, il pubblico amministratore, l’esponente delle istituzioni, il faccendiere, il colletto bianco delle mafie”. Un discorso che da anni ripete il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo la cui inchiesta “Mamma Santissima” rischia di dover riscrivere la storia della ‘ndrangheta reggina.
Ma è proprio la nuova soggettività della ‘ndrangheta a creare difficoltà alla magistratura nel momento in cui i pm devono contestare un reato. Se da una parte “la norma del 416 ter è post datata, da prima Repubblica”, secondo Scarpinato, senza le opportune modifiche sono inadeguati anche i reati contestati dagli articoli 416 bis (“i sistemi criminali non usano il metodo mafioso” ) 416 (“l’associazione a delinquere semplice è una norma riduttiva”). Lo stesso vale per la violazione della legge Anselmi (“è uno strumento assolutamente inutilizzabile)”.
‘NDRANGHETA E CORRUZIONE, BISOGNA MODIFICARE IL 416 BIS
Difficoltà giuridiche che, incrociate con le più importanti inchieste antimafia (come “Mamma Santissima”), hanno spinto il procuratore nazionale Franco Roberti e la Dna a proporre un’urgente modifica al reato di associazione mafiosa. Una modifica che tenga in considerazione che le mafie possono agire senza necessariamente far scorrere sangue ma ricorrendo alla corruzione. Secondo la Dna, infatti, questa modifica è necessaria perché c’è uno “spostamento dell’operatività dei sodalizi mafiosi – è scritto sempre nella relazione – da un terreno eminentemente militare a quello prevalentemente collusivo-corruttivo”. Un “nuovo modello” di organizzazione mafiosa, quindi, che si serve “di relazioni illecite fra apparati pubblici e crimine organizzato in forma stabile ed associata. Al mafioso basta chiedere per ottenere. A fronte di un esercizio sempre più ridotto e meno vistoso della violenza, si manifestano, invece, sempre più imponenti, diffusi ed estesi, fenomeni d’infiltrazione delle mafie in vasti settori economici e delle pubbliche amministrazioni”.
LA TRASFORMAZIONE DELLE ORGANIZZAZIONI MAFIOSE
In altre parole, “le mafie, anche senza l’uso di quelle che si riteneva fossero le loro armi principali, continuavano e continuano, non solo a raggiungere i loro scopi di governo del territorio, di acquisizione di pubblici servizi, appalti, interi comparti economici, ma continuano a farlo avvalendosi dell’assoggettamento del prossimo (sia esso un imprenditore concorrente o un qualsiasi altro cittadino) riuscendo a porre costui, senza fare ricorso all’uso della tipica violenza mafiosa, in uno stato di paralizzata rassegnazione, nella quale, in sostanza, è in balia del volere mafioso. E qui è il cuore del ragionamento che consente di collocare il metodo collusivo corruttivo nell’alveo dei sistemi attraverso cui le mafie possono indurre assoggettamento: l’uso stabile e continuo del metodo corruttivo–collusivo da parte delle associazioni mafiose, determina di fatto l’acquisizione (ma forse sarebbe meglio dire, l’acquisto) in capo alle mafie stesse, dei poteri dell’autorità pubblica che governa il settore amministrativo ed economico che viene infiltrato”. Secondo la Direzione nazionale antimafia, siamo difronte a “un inarrestabile processo di trasformazione delle organizzazioni mafiose, da associazioni eminentemente militari e violente, ad entità affaristiche fondate su di un sostrato miliare”. “I dati in nostro possesso, – scrive il capo della Dna Roberti – confermano come gli omicidi ascrivibili alle dinamiche delle organizzazioni mafiose siano complessivamente in calo, mentre il panorama delle indagini mostra un forte dinamismo dei sodalizi in tutti gli ambiti imprenditoriali nei quali viene in rilievo un rapporto con la pubblica amministrazione”.
“MAMMA SANTISSIMA”: L’ABBRACCIO, TRA LA ‘NDRANGHETA E LE ISTITUZIONI
Abbandonato il linguaggio giuridico e passando ai fatti concreti emersi nelle recenti inchieste sulla ‘ndrangheta, la relazione della Dna si concentra sulle indagini delle operazioni “Mammasantissima”, “Fata Morgana”, Sistema Reggio” e Reghion”. Nelle pieghe dei faldoni che hanno dato vita al processo “Gotha” c’è “il rapporto tra la ndrangheta, esponenti di rilievo delle Istituzioni e professionisti (legati anche ad organizzazioni massoniche ed ai Servizi segreti) di piena intraneità, al punto da giocare un ruolo di assoluto primo piano nelle scelte strategiche dell’associazione, facendo parte di una “struttura riservata” di comando, la cui esistenza è stata, peraltro, scientemente tenuta nascosta a gran parte degli affiliati, anche di rango elevato”. Un processo che è ancora in corso ma che ha già consentito alla Procura di Federico Cafiero De Raho e ai gip di accertare come la tipologia di rapporti tra gli indagati e le famiglie di ‘ndrangheta si allontana dai parametri del concorso esterno per “rientrare nel reato di cui all’articolo 416 bis (associazione mafiosa).
L’inchiesta “Mamma Santissima” ha ricostruito quella “struttura direttiva riservata la cui esistenza è stata accertata nel processo ‘Crimine’. Quali componenti della predetta struttura, sono stati tratti in arresto, due avvocati, Giorgio De Stefano, con legami di sangue con l’omonima famiglia di ndrangheta e Paolo Romeo, Francesco Chirico (alto funzionario regionale, in servizio per lunghi anni anche al Comune di Reggio Calabria) nonché due esponenti politici di primo piano, Alberto Sarra, assessore regionale e Antonio Caridi, senatore della Repubblica (ex assessore regionale e comunale)”.
PAOLO ROMEO E GIORGIO DE STEFANO, IL “MOTORE DELL’ASSOCIAZIONE SEGRETA”
La figura chiave è quella di Paolo Romeo, legato al mondo massonico e ritenuto “il vero e proprio motore dell’associazione segreta dimostratasi in grado di condizionare l’agire delle istituzioni locali, finendo con il piegarle ai propri desiderata, convergenti, ovviamente, con gli interessi più generali della ndrangheta”. È lui, assieme all’avvocato Giorgio De Stefano, che tira le fila di quella che la Procura di Reggio e la Dna definiscono “cabina di regia criminale” all’interno della quale “è stato gestito il potere, quello vero, quello reale, quello che decide chi, in un certo contesto territoriale, diventerà sindaco, consigliere o assessore comunale, consigliere o assessore regionale e addirittura parlamentare nazionale od europeo. Sono stati, invero, il Romeo ed il De Stefano a pianificare, fin nei minimi dettagli, l’ascesa politica di Alberto Sarra, consigliere regionale nel 2002 (subentrando a Giuseppe Scopelliti, fatto eleggere sindaco di Reggio Calabria), assessore regionale nel 2004, prendendo il posto di Umberto Pirilli, a sua volta eletto al Parlamento Europeo grazie al massiccio appoggio di praticamente tutte le famiglie del mandamento di centro, da Villa San Giovanni a Bova Marina e, infine, sottosegretario regionale nel 2010, designato del predetto Scopelliti, nel frattempo divenuto Presidente della Regione Calabria”.
IL SENATORE ANTONIO CARIDI, E IL FLOP LA LEGGE ELETTORALE
Un paragrafo a parte è quello dedicato al senatore di Gal Antonio Caridi, finito in carcere l’anno scorso dopo l’autorizzazione all’arresto votata dal Parlamento. Dopo essere stato assessore comunale e regionale, la sua elezione al Senato nel 2013, secondo la Dna, è “significativa di come, nelle Regioni in cui è fortissimo il controllo del consenso da parte della criminalità organizzata, la nuova legge elettorale non abbia raggiunto l’obiettivo sperato di neutralizzare gli effetti di tale dominio, poiché i pacchetti di voti continuano ad essere dirottati su una lista piuttosto che su un’altra, sulla base di criteri meramente utilitaristici rispetto ai progetti criminali”.
La ‘ndrangheta è “presente in tutti i settori nevralgici della politica, dell’amministrazione pubblica e dell’economia, creando, in tal modo, le condizioni per un arricchimento, non più solo attraverso le tradizionali attività illecite del traffico internazionale di stupefacenti e delle estorsioni, ma anche intercettando, attraverso prestanome o, comunque, imprenditori di riferimento, importanti flussi economici pubblici ad ogni livello, comunale, regionale, statale ed europeo”.