Venivano letteralmente “prelevate” dai centri di accoglienza in cui erano ospiti e fatte prostituire sulle strade della provincia di Roma, Verona e Sassari. Almeno sedici le donne, tutte nigeriane di età compresa tra i 14 e i 20 anni, finite nelle grinfie dell’organizzazione criminale formata da loro connazionali. Più che la violenza del sodalizio, però, le ragazze temevano le conseguenze del rito vudù a cui erano state sottoposte in patria. Cinque gli arresti: in manette tre donne e due uomini, per cui è scattata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Lecce Michele Toriello su richiesta dei pm della Dda Guglielmo Cataldi e Maria Rosaria Micucci. Per altri nove nigeriani dovrà pronunciarsi il Tribunale di Catania. In tutto, gli indagati sono 32, di cui otto in Africa. Le accuse a loro carico, a vario titolo, sono di associazione finalizzata alla riduzione in schiavitù a fini sessuali, tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione in stato di clandestinità e sfruttamento della prostituzione.
L’inchiesta, portata avanti dai carabinieri del Ros e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale leccese, ha preso il via nel marzo 2016, in seguito alla denuncia di una donna residente nel capoluogo salentino: temeva che sua figlia minorenne fosse stata sequestrata e portata via dal collegio in cui studiava, nel Paese di origine. Da lì, grazie anche alle intercettazioni telefoniche, è emerso uno spaccato inquietante, un copione che continua a ripetersi: bande locali rapiscono le fanciulle dei villaggi vicini a Benin City o, a volte, le acquistano dalle famiglie che le vendono; l’organizzazione cura poi tutto il viaggio, abbandonando nel deserto coloro che fisicamente non resistono; in Libia, vicino Sabrata, segregano le ragazze in capannoni con vigilanza armata, per poi imbarcarle sui gommoni in direzione Italia. Dai centri di accoglienza, infine, vengono prelevate per essere sfruttate sessualmente, affidate alle “Madame”, spesso ex prostitute divenute organiche all’organizzazione. Una merce di scambio, dunque, pagata tra i 30 e i 35mila euro dagli acquirenti finali, i clan che operano in Italia.
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