“Internet non è un luogo vuoto di regole. Al contrario, è sempre più regolato da Stati invadenti e imprese prepotenti. Con l’argomento, o il pretesto, della sicurezza gli Stati limitano diritti fondamentali, impongono forme di censura, controllano le persone in modi sempre più diffusi e penetranti. Le imprese esercitano un vero potere normativo, privato e planetario, con i loro terms of service – le condizioni generali di contratto con le quali, unilateralmente, regolano i loro rapporti con le persone alle quali forniscono beni e servizi tramite internet. Siamo di fronte non a un vuoto, bensì a un formidabile pieno di regole. Ma può la democrazia accettare un esercizio del potere normativo nell’infinito universo di internet senza un quadro definito di principi e diritti?”.
Sta probabilmente in questa manciata di parole, scritte con la passione, la determinazione, la sapienza e la ferma volontà di scrivere per farsi capire, per incidere sul destino del mondo e non per far sfoggio della straordinaria cultura – che pure aveva – il senso dell’eredità che Stefano Rodotà lascia a tutti noi, cittadini del secolo della Rete. E sono parole, per me ancor più cariche di significato, perché Stefano – come avrebbe voluto lo chiamassi, ma solo raramente riuscivo a chiamarlo per nome – ha voluto strapparle al suo tempo, che correva via per consegnarle alla prefazione di Internet, i nostri diritti, il libro che ho scritto con Anna Masera, sulla Dichiarazione dei diritti e doveri di internet, l’ultimo straordinario prodotto della sua vita istituzionale perché risultato dei lavori della Commissione istituita dalla presidente della Camera, Laura Boldrini e da lui presieduta.
Rodotà era un intellettuale d’altri tempi e di tutti i tempi, un intellettuale capace di applicare principi antichi a fenomeni moderni e in divenire, un intellettuale convinto che il suo ruolo fosse quello di stare tra la gente e di convincerla, come suggerisce il titolo di uno dei suoi ultimi libri, dell’importanza di avere sempre forte nella mente e nel cuore il diritto ad avere diritti, anche nello spazio telematico liquido, magmatico, dominato da poteri economici e Stati canaglia. Era il padre del diritto alla privacy in Italia, il primo Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, l’uomo che ha preso per mano un diritto sconosciuto ai più eppure fondamentale e lo ha reso quello che oggi è, a dispetto dei tempi, delle tecnologie e della trasformazione della società, che già all’epoca – eravamo nella metà degli anni 90 – correvano in una direzione opposta. Un giurista capace di guardare lontano, di tratteggiare lucide visioni dei problemi che la società e i decisori pubblici si sarebbero trovati ad affrontare.
Nel 2000, quando Facebook ancora non esisteva e Google era appena un neonato che muoveva i primi passi, in una Rete straordinariamente meno popolata e pervasiva di quella di oggi già scriveva: “Il diffondersi di raccolte di dati personali sempre più ampie e specializzate, per finalità molteplici e ad opera dei soggetti più vari produce forme di spossessamento e frantumazione, disloca il sé di ciascuno in luoghi diversificati (…) l’unità delle persone viene spezzata ed al suo posto troviamo tante ‘persone elettroniche’, tante persone create dal mercato (…) quanti sono gli interessi che spingono alla raccolta delle informazioni. Stiamo divenendo ‘astrazioni nel cyberspazio‘, siamo di fronte a un individuo moltiplicato“.
E poi è successo. E ci siamo trovati impreparati a governare un mondo nel quale i diritti fondamentali – dei quali Stefano Rodotà è stato il giurista per antonomasia e l’avvocato d’ufficio per tutta la vita – sembrano quotidianamente destinati a cedere il passo agli interessi economici e a quelli politici. E’ stato spesso una Cassandra inascoltata dell’esigenza di regolamentare la Rete e le dinamiche che in essa si consumano non per imbavagliarla o per frenarne lo sviluppo secondo le dinamiche che le hanno dato i natali e delle quali Rodotà aveva un profondo rispetto, ma, al contrario, per garantire a tutti gli utenti di internet quei diritti fondamentali, risultato di conquiste ultrasecolari, a cui tutti abbiamo diritto.
E’ un vuoto davvero incolmabile quello che Stefano Rodotà lascia nella comunità internazionale che si occupa di privacy e diritti fondamentali in Internet. Ma al tempo stesso è enorme l’eredità che ci lascia, che lascia a chi vorrà continuare la sua battaglia per una Rete che sia davvero la più grande agorà della storia dell’umanità, una piazza nella quale ciascuno, nessuno escluso – ed anzi inclusi, soprattutto quelli che in genere sono “gli esclusi” – deve poter manifestare liberamente le proprie idee e le proprie opinioni e rivendicare il diritto a non subire nessun torto e nessuna compressione dei propri diritti in ragione esclusivamente di quello che pensa, di quello che dice e di quello che scrive.
Ciao Stefano, mi mancherai, ci mancherai, ma le tue idee, le tue parole, i tuoi insegnamenti stampati sulla carta e rappresentati in bit ci guideranno, speriamo, nella direzione che ci hai indicato senza mai risparmiare neppure un alito della tua straordinaria energia.