L’impatto con la Camera?
Ci ho messo quasi un anno a capire dove stavo: c’era un’altissima professionalità parlamentare, non si improvvisava. Si studiava, non si andava a orecchio: bisognava stare al passo. Ho discusso infinite volte con Nilde Iotti. Le dicevo: “Nilde, la maggioranza si tutela con i numeri che ha, tu devi tutelare le minoranze“. Le minoranze erano le opposizioni, cioè il Pci. Ma lei non voleva dare l’impressione di avere un occhio di riguardo e poi non condivideva alcune forme di lotta parlamentare, come l’ostruzionismo. C’era un’idea del Pci, molto condivisa anche da Giorgio Napolitano, che le istituzioni dovessero funzionare. Ma come presiedeva Nilde Iotti… Aveva un’autorevolezza, qualcuno le imputava perfino un’aura regale. Entrava in aula spaccando il secondo, non tollerava sbavature. Tutto quello che abbiamo visto in questi anni – cartelloni, magliette, la mortadella, il cappio – con lei non sarebbe potuto accadere.
In quegli anni il capo dello Stato era Francesco Cossiga. O meglio, Kossiga.
I miei rapporti personali con Cossiga fino a un certo punto sono stati eccellenti. Chiamava così spesso a casa che a volte i miei figli si dimenticavano di riferirmi che mi aveva cercato. Mio padre ogni tanto mi chiamava e diceva: “Stefano, mi ha telefonato il presidente della Repubblica, dice che ti ha cercato ma tu non lo richiami. Richiamalo”. Lui era così. Certe sere, siccome c’è la regola che nessuno se ne può andare prima del presidente, Carla gli diceva: “Presidente, sono le tre, ho sonno”. Telefonava: “Vengo a fare una passeggiata in montagna con voi”. Purtroppo
i suoi metodi erano inaccettabili. Minacciava le persone, faceva delle vere mascalzonate. Mi chiamava e mi diceva: “Dì ai tuoi amici di Magistratura democratica che se non la piantano con la storia della massoneria, faccio l’ira di Dio”. Quando andò a occupare il Csm, io ero lì. Disse contro di me: “Rodotà pratica l’indipendenza al Csm, ma non nelle piazze della Sardegna“. E citò delle località dove io ero appena stato: più che una coincidenza.
Come sono stati gli anni di Tangentopoli visti dal Parlamento?
Già prima di Mani Pulite, il Parlamento era diventato un luogo guardato con sospetto, non più con rispetto. La sera in cui si diffonde la notizia che la Camera aveva negato l’autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi, esco dal Parlamento e m’imbatto in gruppi di persone furibonde: ho dovuto dire a tutti che io avevo votato a favore, erano fuori dalla grazia di Dio. Sostenere che la famosa serata delle monetine è stata organizzata è una sciocchezza. La protesta era già montata. Un giorno Vito Laterza mi chiama e mi dice: “Gianni Barbacetto ed Elio Veltri hanno scritto un libro sugli scandali della politica milanese, faresti la prefazione? Bobbio non ha voluto”. Io lo leggo, lo trovo interessante e scrivo. Apriti cielo: vengo addirittura deferito al collegio dei probiviri del partito, perché in quel libro veniva chiamato in causa anche il Pci milanese. E secondo loro come presidente del Pds non avrei dovuto scrivere la prefazione. Poi la cosa davanti ai probiviri si risolve in niente, e si scopre che il Pci milanese era coinvolto nelle vicende di Tangentopoli. Su questo ho avuto molti scontri con i vertici del Pci.