Ce li racconta?
Io vengo eletto presidente del Pds perché loro sbagliano i conti al congresso di Rimini e Occhetto non viene eletto, perché la maggioranza era troppo alta. Si rinvia tutto e comincia un assedio a me perche´ accetti di fare il presidente. D’Alema insiste molto, Ingrao anche. Tant’e` che vengo eletto con maggioranza bulgara. Ma non serve a tenere insieme il partito e soprattutto a fare quello che secondo me era implicito nella Bolognina, e cioè l’apertura all’esterno. Mi ostacolano in ogni modo: il cambiamento del nome sì, l’autocritica sì. Ma chi aveva in mano il partito, voleva gestirlo esattamente come prima. Allora il partito discuteva moltissimo. Io proposi che le commissioni di lavoro fossero composte per metà da iscritti e per metà da esterni. Tutti contrari. E dicevo: ma guardate che nessuno vi verrà a chiedere nomine o candidature. La verità è che mi hanno sempre considerato un corpo estraneo. Già Berlinguer aveva sollevato la questione morale. In quell’intervista a Eugenio Scalfari parlava anche al suo partito. Per me era assolutamente evidente. Io so, perché negli ultimi anni ebbi rapporti assidui con Enrico, che voleva fare pulizia nel partito, ma anche che voleva valorizzare il contributo esterno. Ricordo il mio ultimo intervento come presidente del Pds: chiesi che il partito convocasse un’assise sulla corruzione, con gli amministratori locali. C’erano stati casi, non solo a Milano.
Prima ha citato Napolitano. In che rapporti siete?
Ho avuto divergenze e buoni rapporti con Napolitano, fino a ieri. Anche la vicenda della presidenza della Camera nel ’92 non l’ho mai personalizzata. Sono stato il primo a congratularmi con Napolitano per la sua elezione al Quirinale. Ci sono stati rapporti cordialissimi: è venuto alle nostre nozze d’oro, siamo stati spesso al Quirinale e Castelporziano. Nella questione della mia candidatura al Colle, non ho mai pensato che avrebbe portato alla mia elezione. Però pensavo che potesse dare una scossa, per uscire dalla prigionia delle larghe intese. Soprattutto, in quel momento, la rielezione di Napolitano non era nemmeno ipotizzata. Sulla vicenda delle riforme ho sempre sostenuto la loro necessità, anche in Parlamento, fin dal 1985, a cominciare dall’eliminazione del bicameralismo perfetto. A condizione però di tutelare sempre i principi fondamentali della Costituzione, di cui il presidente della Repubblica dovrebbe sempre ricordare il necessario rispetto.
Secondo lei Renzi avrà la forza di concludere questa riforma?
Spero di no, ma ormai c’è un intreccio d’interessi che va oltre. Capisco che l’espressione “autoritarismo” abbia dato fastidio, ma evidentemente abbiamo toccato un nervo scoperto. Questa parola ha svelato che il re è nudo: quel che si vuole fare è modificare la Costituzione in maniera assolutamente illegittima, per realizzare un accentramento dei poteri mascherato con l’esigenza
della governabilità. Se passano l’Italicum e questa riforma costituzionale la democrazia parlamentare è superata. E questo non si può fare. Io vedo un’enorme fragilità di questo governo. La riforma è peggio di quella che aveva voluto Berlusconi.