Ancora dai contorni misteriosi è invece l’attività della mafia cinese. Da Milano a Palermo, passando per Roma e Torino, negli ultimi vent’anni sono centinaia di migliaia i cittadini arrivati dalla Repubblica popolare cinese per lavorare nel nostro Paese. Solo che parallelamente alle attività legali si sono impegnati anche in quelle illegali. “I sodalizi criminali cinesi, oltre alla spiccata attitudine per l’attività di riciclaggio, per reati di natura economico-finanziaria e la frode fiscale, riescono a gestire i traffici transnazionali di merci contraffatte e di contrabbando nonché i rilevanti flussi migratori illegali anche attraverso il consolidato legame con la madrepatria”, scrive la Dna che evidenzia per la prima volta i vari ambiti in cui si muovono i clan made in Pechino. Gli analisti hanno documentato “l’operatività delle cosiddette bande giovanili, presenti soprattutto in Milano, Brescia, Torino e Prato e dei gruppi criminali organizzati, cui sono riconducibili le più eclatanti e cruente manifestazioni criminose, perlopiù consumate in ambito intraetnico. Tali formazioni criminali, utilizzando metodi violenti, intimidatori ed omertosi, estrinsecano le loro condotte criminali nel controllo e nella gestione di locali pubblici, utilizzati soprattutto per la gestione del gioco d’azzardo e per lo spaccio di stupefacenti, nello sfruttamento della prostituzione, nell’usura in danno di connazionali, nelle rapine ed estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti connazionali”. Sono i clan che hanno cominciato a spacciare in Italia nuovi tipi di droghe sintetiche: le chiamano ice, shaboo, ochristalmeth, e sono derivazioni della metanfetamina.
La comunità cinese reimpiega capitali illeciti in speculazioni lecite”
Il vero settore in cui si muovono i cinesi, però, è ovviamente quello finanziario: un ambito al quale si dedicano i colletti bianchi dei clan dagli occhi a mandorla, ormai completamente inseriti nel tessuto italiano. “Recenti acquisizioni info investigative – si legge sempre nella relazione – sembrano confermare l’operatività, in tale ambito, della cosiddetta terza generazione, cui appartengono liberi professionisti ed imprenditori di origine cinese, nati in Italia, dediti a reati di natura economico-finanziaria. Attraverso tali figure professionali, la comunità cinese si conferma capace di operare anche nel reimpiego dei capitali illeciti per finanziare attività illegali e speculazioni lecite, quali l’acquisto di immobili, di esercizi commerciali e di imprese in stato di dissesto, risanate con l’utilizzo di forza lavoro clandestina a bassissimo costo”. Un’infiltrazione continua dell’economia italiana, un enorme giro di denaro che alla fine torna in madre patria. Gli investigatori, però, hanno documentato come i cinesi utilizzino sempre meno i circuiti tracciabili per movimentare i propri capitali. Anche questo passaggio è raccontato dai numeri: dai 2.674 milioni di euro trasferiti nel 2012 (dato più alto registrato dal 2005), nell’ultimo anno si è passati ad “appena” 500 milioni euro: ovviamente si tratta soltanto dei capitali tracciabili. “Attraverso il regolamento in denaro contante – annota la Dna – è possibile ipotizzare che alcuni cittadini cinesi, poco inclini ad utilizzare i canali ufficiali, ivi compreso il sistema money transfer, abbiano effettuato trasferimenti di liquidità in modo non ufficiale, talvolta ricorrendo al trasporto fisico del denaro contante”. In pratica centinaia di “spalloni” portano in Cina ogni giorno milioni di euro.
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