Chiudono il cerchio le gang sudamericane, piccoli clan composti quasi sempre da giovanissimi. Nate per emulare le gesta delle bande ispano-americane create nelle periferie delle città statunitensi a partire dagli anni ‘40, adesso le mini gang trapiantate in Italia stanno diventando sempre più pericolose. Proliferano nelle periferie delle grosse città del Nord, dettano legge in intere zone dei quartieri in cui vivono, finiscono sempre più spesso sulle pagine dei giornali per episodi cruenti. È il giugno del 2015 quando a Milano tre appartenenti alla gang di latinos Mara Salvatrucha aggrediscono a colpi di machete un capotreno delle Ferrovie. La sua colpa? Avere chiesto il biglietto ai tre giovani. È l’apice della violenza dei latinos: per quell’aggressione i tre giovani banditi saranno condannati a pene fino ai 16 anni di carcere. E gli investigatori di via Giulia inizieranno ad analizzare il problema.
Un’ Internazionale del crimine che parla più lingue
“Si continua a registrare, prevalentemente nei capoluoghi di regione del centronord Italia, la perdurante operatività e l’accresciuta pericolosità delle pandillas sudamericane che, nonostante la giovane età degli appartenenti, si sono mostrate particolarmente inclini all’uso sconsiderato della violenza”, scrivono gli analisti. Che poi sottolineano come la nazionalità d’origine di molti giovani criminali non sia affatto un dettaglio casuale .”La presenza di soggetti provenienti dal Sudamerica – si spiega nella relazione – è finalizzata principalmente all’approvvigionamento del narcotico, in particolare cocaina, a prezzi maggiormente competitivi, grazie ai contatti diretti con i fornitori nei Paesi d’origine”. Le gang di periferia, insomma, hanno già iniziato a smerciare droga e dai quartieri più lontani puntano al centro delle città. I baby criminali, in pratica, sono pronti a trasformarsi nei narcos del futuro. Solo che non siamo a Medellin e nemmeno in Colombia, e questa non è una serie di Netflix: sono le periferie italiane dove alle mafie autoctone si sono ormai affiancate quelle di mezzo mondo. Il risultato è un cocktail esplosivo: un’Internazionale del crimine che parla mille lingue e non sembra conoscere argini.
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