La casa del Biscione sabato scorso ha compiuto 107 anni mentre proprio nel 2017 cade il trentennale dell'esordio della 164, l'ultima ammiraglia di successo della casa. Alfa Romeo avrà la forza di proporre sul mercato un'altra berlina di segmento E, e magari anche un suv delle stesse dimensioni? Riuscirà a centrare l'obiettivo di 400 mila vendite nel 2020, come vuole Marchionne? A giudicare dai risultati della Giulia siamo ancora lontani, la Stelvio potrebbe invece dare una spinta
In occasione del suo 107° compleanno, Alfa Romeo ha omaggiato presso il Museo di Arese la sua 164, ultima berlina del biscione di taglia large ad avere un buon riscontro commerciale: poco meno di 270 mila esemplari fabbricati in 10 anni di produzione. Disegnata da Pininfarina, in un primo tempo la 164 venne guardata con sospetto da critica e clientela per via della sua meccanica “popolare”: nonostante fosse al top della gamma Alfa, la vettura era infatti costruita sul pianale Fiat “Tipo4” a trazione anteriore, condiviso con Lancia Thema, Fiat Croma e Saab 9000. La storia la promosse poi come un buon prodotto.
Al di là del valore nostalgico, la celebrazione di questo modello rappresenta una valorizzazione dell’heritage su cui i costruttori stanno puntando molto ultimamente per nobilitare l’albero genealogico delle vetture esposte nelle concessionarie. Nel caso specifico Alfa si sta preparando a lanciare i suoi nuovi prodotti di fascia alta: dopo Giulia e Stelvio – che appartengono al cosiddetto segmento D – la casa del biscione punta a produrre un Suv che possa far concorrenza a Porsche Cayenne e BMW X5 e una berlina che invece dia fastidio a BMW Serie 5 e Mercedes Classe E.
Se la Sport Utility potrebbe avere una buona accoglienza commerciale (visto il momento d’oro di questa categoria di veicoli), il destino della futura ammiraglia appare più grigio: a remare contro una sedan di segmento E c’è in primis la refrattarietà di alcuni mercati a questo tipo di carrozzeria; e in secundis un deficit tecnologico con la concorrenza tedesca che, attualmente, sembra incolmabile. Le “made in Germany” vantano già la guida semiautonoma, sono connesse a internet e in grado anche di parcheggiare da sole: “gingilli” che in FCA, dove mancano persino i fari a led, ancora non sono pervenuti.
Poi c’è la questione “nomea”: Alfa è un marchio che gode di grande rispetto e vanta certamente un fascino tutto suo. Tuttavia al momento dell’acquisto la fama della concorrenza tedesca – guadagnata in decenni di buoni prodotti – sembra avere un peso ancora superiore rispetto ai sentimentalismi. E basta vedere quanto successo con la Giulia per rendersene conto: nonostante l’auto abbia doti dinamiche di assoluto riferimento e una qualità costruttiva all’altezza dei prezzi, le vendite faticano a decollare.
Il target commerciale della Giulia, infatti, era compreso fra 75 e 100 mila unità l’anno: tuttavia dal maggio 2016 e fino allo scorso aprile in Europa ne sono state vendute poco meno di 19 mila. Dati poco incoraggianti anche dagli USA, dove nei primi 5 mesi dell’anno le vendite ammontano ad appena 2.482 unità (contro oltre 15 mila le Audi A4; 22 mila BMW Serie 3 e 35 mila Mercedes Classe C). La Giulia sconta inevitabilmente anche l’assenza (incomprensibile) di una variante station-wagon, che certamente avrebbe fatto la differenza nel vecchio continente: nel segmento premium europeo le station wagon pesano per il 42% delle vendite.
Facendo le debite proporzioni, e dando per assodato che nemmeno l’eventuale nuova ammiraglia Alfa avrà una variante familiare, risulta difficile comprendere come le previsioni commerciali fatte da Marchionne su Alfa – 400 mila auto l’anno vendute globalmente entro il 2020 – possano essere rispettate; specie perché lo scorso anno la marca italiana ha piazzato 73 mila auto: circa 97 mila in meno di quante ne vorrebbe vendere quest’anno secondo quanto auspicato da Marchionne.