Alla fine a Trapani hanno deciso di non decidere. Anzi hanno deciso di fare decidere a Palermo, da dove la Regione invierà un funzionario incaricato di amministrare la città per i prossimi dodici mesi. Complice un caldo africano che ha infiammato l’intera domenica e il martellante invito al non voto – forse persino peggiore di quello clientelare del primo turno – tre trapanesi su quattro hanno preferito andarsene al mare. Alle urne l’affluenza si è fermata ad uno sconfortante 26,7%: poco più della metà del quorum previsto dalla cervellotica legge elettorale. Elezioni nulle dunque con il povero Pietro Savona che si è ritrovato ad essere l’unico aspirante sindaco in grado di perdere pur correndo da solo. “La scelta – diceva il candidato del Pd – è tra me e un commissario”. I suoi concittadini gli hanno preferito un commissario alla fine di una campagna elettorale che definire densa di colpi di scena è un eufemismo.
La prima scossa nella punta più occidentale della Sicilia è arrivata a un mese dal voto: è il 18 maggio quando la procura di Palermo chiede il soggiorno obbligato per il senatore Antonio D’Alì, ex sottosegretario all’Interno e omonimo del palazzo dove ha sede il municipio. “Lo ha costruito mio nonno”, raccontava il candidato sindaco di Forza Italia, bollato dai pm come “socialmente pericoloso” in attesa del verdetto della Cassazione che deve giudicarlo per concorso esterno a Cosa nostra: un’accusa dalla quale è stato assolto in Appello per i fatti successivi al 1994 e prescritto per quelli precedenti.
Passano 24 ore e finisce addirittura ai domiciliari l’altro uomo forte del centrodestra locale: il deputato regionale Mimmo Fazio, sindaco fino al 2012, è accusato di corruzione nell’ambito di un’inchiesta in cui viene arrestato anche l’armatore Ettore Morace, patron della squadra di calcio cittadina – appena retrocessa dalla serie B – e della compagnia di navigazione che gestisce i collegamenti con le splendide isole Egadi. Una situazione da cortocircuito che stuzzica il Movimento 5 Stelle: in città arriva addirittura Beppe Grillo per sostenere l’aspirante sindaco Marcello Maltese ma i trapanesi non sono un popolo da ribaltoni. Tutt’altro. D’Alì continua normalmente la sua campagna elettorale, Fazio si fa sedici giorni di arresti domiciliari ma non si ritira nemmeno lui: torna libero e si ributta nella mischia.
Al primo turno, però, l’unico colpo di scena lo regala proprio il Pd – che da queste parti ha accolto ultimamente alcuni ras acchiappavoti provenienti dal centrodestra come Paolo Ruggirello – capace di superare il senatore di Forza Italia per mille voti e strappare un biglietto per il ballottaggio. L’altro era già saldamente in mano a Fazio, il candidato appena rilasciato ma anche il più votato con il 33% dei voti. Sono gli stessi giorni in cui in città comincia ad essere proiettato quasi clandestinamente un film: lo hanno fatto due giovani foto giornalisti, Marco Bova e Francesco Bellina, e si intitola Ciapani, il suono di Trapani nel dialetto locale. È un mediometraggio agile che racconta l’altra faccia Trapani, quella lontana dalla Vuitton Cup del 2005, dalle barche a vela ancorate al molo di Favignana e dagli aliscafi luccicanti di Morace: Ciapani è Trapani senza marketing, è il capoluogo di provincia che ha ispirato la Piovra , dove ci sono 19 logge massoniche ufficiali con 500 iscritti e dove è nato anche Matteo Messina Denaro, l’ultima inafferrabile primula rossa di Cosa nostra. “A Trapani – racconta il film – il diavolo si nasconde nei dettagli“.
E infatti è proprio per un dettaglio se è andato in scena il ballottaggio più diabolico di sempre. A notarlo l’attentissimo Fazio, l’ex sindaco al quale la procura recapita un’allarmante richiesta: proprio nel day after del primo turno, infatti, i magistrati della procura di Palermo chiedono al Tribunale del Riesame di annullare il provvedimento del gip che gli aveva revocato i domiciliari. Noncuranti del 33% dei voti raccolti, i pm vogliono in pratica riportare agli arresti quello che sarebbe stato probabilmente il nuovo sindaco di Trapani. Che non rimane a guardare: convoca una conferenza stampa e annuncia pomposamente il ritiro. Non lo fa però inviando una lettera formale alla commissione elettorale. In quel caso, infatti, le porte del ballottaggio si sarebbero aperte per D’Alì, un tempo suo alleato e oggi nemico giurato. Poteva Fazio lasciare la scena a quello che oggi è il suo più acerrimo oppositore? Certo che non poteva, altrimenti non saremmo stati a Trapani ma forse a Trento o a Zurigo.
Caso vuole, però, che la legge bizantina usata in Sicilia per regolare le elezioni amministrative abbia un meccanismo machiavellico: prevede infatti che i candidati sindaco approdati al ballottaggio debbano indicare prima del voto i nomi di alcuni assessori. Chi non lo fa decade e al secondo turno approda un unico concorrente con un solo ostacolo a separarlo dall’elezione: alle urne devono andare il 50% più uno degli elettori per fare scattare il quorum. In alternativa le elezioni vanno in fumo e persino i consiglieri comunali eletti al primo turno decadono in blocco. Fazio evidentemente quella legge la conosce bene e conosce bene anche la matematica: dopo aver fatto due conti – l’affluenza al primo turno era stata al 59% ma con 5 candidati sindaco e centinaia di consiglieri – non presenta la lista dei suoi assessori piazzando una mossa da Frank Underwood delle Saline.
Il resto è storia nota. Il Pd ha mobilitato ministri come Maurizio Martina e Graziano Delrio, leader locali come Davide Faraone e persino il nuovo alleato Leoluca Orlando (che poi non si è presentato) per provare a cogliere l’attimo. Beppe Grillo in persona, invece, ha invitato all’astensione ma è probabile che anche se non l’avesse fatto non sarebbe cambiato granché visto che il candidato pentastellato è arrivato solo penultimo al primo turno. A Trapani, infatti, persino i buoni – e cioè quel poco di società civile che esiste – sono riusciti a dividersi sul punto. C’è chi accusa i filogrillini di voler demonizzare il Pd facendo il gioco di quel verminaio occulto che tiene da sempre in ostaggio la città, e chi invece rinfaccia al partito di Matteo Renzi di avere giocato un ruolo nella spartizione dello strisciante potere locale. È anche per questo che oggi l’inedito titolo di primo capoluogo di provincia incapace di eleggersi un sindaco spetta a Trapani. Anzi a Ciapani, senza marketing, dove da domani arriverà un commissario. E forse non è detto che sia proprio un male.
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