La Lega Nord avrà più consiglieri comunali del Pd: 9 contro 6. Fratelli d’Italia avrà 3 consiglieri. Già qui si capisce il terremoto di Genova che per la prima volta dal Dopoguerra finisce alla destra: il Carroccio prende più consiglieri del Partito che fino a vent’anni fa in alcuni quartieri del Ponente genovese arrivava al 70%.
Sono passati i tempi – erano gli anni Novanta, mica la preistoria – in cui il segretario del Partito guardando un passante per strada diceva: “Vedi quello, se voglio lo faccio diventare sindaco”. Come Bologna quando vinse Giorgio Guazzaloca, dice qualcuno. Forse ancora di più: perché in Emilia il legame era con un partito, a Genova era più una questione culturale. Di identità. “La città Medaglia d’Oro della Resistenza, l’unica in Europa che si è liberata da sola dal nazifascismo”, ricorda Luca Borzani, presidente del Palazzo Ducale. Addio alla città dei camalli, di Paride Batini, di don Andrea Gallo, simboli di un mondo che non c’è più. Il vincitore Bucci in campagna elettorale lo ha detto: “Amministreremo Genova come un’impresa”. Insomma, il riferimento non è più l’operaio, ma l’imprenditore (e non importa che Bucci non lo sia).
Ma il cambio di pelle è ancora più profondo. Addio a Genova città magari ruvida, ma solidale con il primato del volontariato. Bucci avrà vinto, ma certo non convinto. Questa campagna elettorale è stata vinta da Giovanni Toti e soprattutto Matteo Salvini. Il vero centro del dibattito non sono stati i problemi locali, ma i migranti. Ecco allora le frasi di Salvini pronunciate proprio a Genova: “Ci vuole una pulizia di massa, via per via, quartiere per quartiere”. Ecco il blogger che scrive su Facebook: “Quando spediamo via i delinquenti stranieri”. E Toti che senza battere ciglio risponde: “Appena andiamo al Governo”. Una volta frasi così a Genova sarebbero costate decine di migliaia di voti. Oggi, invece, l’impressione è che ne abbiano procurati altri. Quelli della folla rabbiosa che durante uno degli ultimi dibattiti zittiva Crivello urlando: “Taci, infermiere”, come fosse una vergogna. A Genova non si era mai visto, l’aria è cambiata.
Era cambiata quando Stefano Balleari, vice-sindaco in pectore, mesi fa era stato fotografato in cravatta regimental con alle spalle una lavagnetta con una croce celtica e la frase “boia chi molla”. Era cambiata perché il municipio Levante, quello della borghesia ricca e di Beppe Grillo, sarà guidato da Francesco Carleo, ex carabiniere che su Facebook condivide post su Mussolini che “ha portato le pensioni in Italia”. È cambiata quando ieri sera il cronista è stato pesantemente insultato all’ingresso del comitato Bucci: “Infame, merda, vattene”.
“Ha pesato l’astensionismo. Noi ci abbiamo messo il cuore”, dice lo sconfitto Gianni Crivello. E sarebbe sommamente ingiusto lasciargli il cerino in mano, mettergli addosso la croce di una sconfitta così pesante. Ma ha torto, Crivello, quando punta il dito contro l’astensionismo. Le colpe della sinistra genovese sono chiare e sotto gli occhi di tutti da molti anni. Colpa del partito averle ancora una volta ignorate. Colpa di Crivello, questa sì, aver accettato l’appoggio di gente come Claudio Burlando (il vero artefice del disastro) e di Massimo D’Alema.
Il Pd – e prima ancora il Pds e i Ds – hanno perso quando per anni hanno occupato ogni poltrona libera in città (municipalizzate, asl, ospedali, università, teatri, tutto). Hanno perso quando sono diventati una cosa sola con il potere economico tacendo sul disastro della banca Carige che già si profilava. Hanno perso quando hanno cementificato mezza Liguria. Hanno perso quando hanno ignorato le infiltrazioni della ‘ndrangheta e anzi hanno frequentato imprenditori che nelle informative della Finanza venivano indicati come punto di contatto tra mondo economico e criminalità. Hanno perso quando, alle regionali del 2015, hanno cercato di imbarcare nelle loro liste ex leghisti ed ex rappresentanti di An. Hanno perso quando a inizio mandato hanno cominciato a segare le gambe al sindaco Marco Doria colpevole di non essere fedele al burlandismo.
Così se n’erano andate prima la Regione Liguria, poi Savona. Adesso anche Genova e perfino La Spezia, altra città rossa. Dove il candidato di Toti ha preso addirittura il 20% in più del rivale. Mentre il centrosinistra si è diviso. Addirittura ha presentato una lista concorrente, guidata da Lorenzo Forcieri – ex sottosegretario del governo Prodi e tuttora indagato per lo scandalo del porto di cui era Presidente. La Spezia dove il centrosinistra si è dilaniato tra fedeli a Raffaella Paita e Andrea Orlando. Dove voleva realizzare una cementificazione da centinaia di milioni sul lungomare. Non importa che agli elettori del centrosinistra tutto questo non andasse proprio giù. E alla fine hanno smesso di ingoiare. Hanno smesso di votare tappandosi il naso.
Ecco, per questo il centrosinistra ha perso. Non per i meriti del centrodestra che in Liguria non ha fatto finora nulla. Ma adesso sarà dura, come dice la consigliera comunale uscente, Marianna Pederzolli (oggi candidata con Crivello): “E’ una sconfitta pesante, perché nasce da una trasformazione culturale profonda. Adesso dobbiamo provare a riconquistarci una base e a formare una nuova classe politica. Partendo dai giovani”.
No, non una semplice alternanza politica. Ma un cambio di anima. Oggi la Liguria ha il volto di Bucci, di Toti che ligure non è e non conosce questa terra. Ha le facce di Daniela Santanché e Ignazio La Russa subito planati a celebrare il trionfo.