La Procura di Roma ha preso un grosso brutto granchio. Federica Sciarelli, una collega che stimo e della quale mi onoro di essere amico, è stata indagata per rivelazione di segreto in concorso con il magistrato Henry John Woodcock, per la fuga di notizie realizzata con l’articolo del Fatto che svelava l’inchiesta Consip il 21 dicembre 2016. Federica ha subito anche il sequestro del suo telefonino. Io posso testimoniare, per quello che vale la mia parola e la mia credibilità, che in questo caso la Procura di Roma ha sbagliato.
Se il procuratore Giuseppe Pignatone, l’aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi, volessero sentire la mia versione sono pronto a testimoniare oggi stesso. Anzi, appena finito di scrivere questo articolo “per fatto personale” andrò in moto in Procura a chiedere di essere sentito. Probabilmente sono indagato anche io, ma i pm sei mesi fa hanno ascoltato la versione di ben altri indagati come Luca Lotti o il comandante Tullio Del Sette: potranno quindi ascoltare anche la mia.
La verità è che Federica Sciarelli non ha messo in contatto il magistrato Henry John Woodccok con Marco Lillo per scrivere di Consip. La tesi dell’accusa è fondata, da quel che si legge, su un tabulato telefonico del mio cellulare. Ebbene, non c’è grigio in questo caso ma solo bianco o nero: Woodcock e Sciarelli sono innocenti e la Procura si è sbagliata. Le telefonate in questione dovrebbero essere quelle fatte da me il 20 dicembre. Quel giorno ho scritto il primo articolo sulle perquisizioni in Consip e sul ruolo di Tiziano Renzi nell’inchiesta, articolo uscito sull’edizione cartacea del 21 dicembre (“L’amico di Tiziano, il Giglio Magico e la gara da 2,7 mld“). Dopo avere ricevuto (con altra modalità che ovviamente tengo per me) le notizie sul pezzo, ho chiamato Federica Sciarelli solo per sapere dove si trovasse Henry John Woodcock. Non è un mistero che il pm Woodcock e Federica Sciarelli siano legati sentimentalmente.
Il mio obiettivo era sapere se Henry John Woodcock fosse a Roma perché sarebbe stato un riscontro alla notizia, da me già ottenuta ma che volevo ulteriormente verificare: cioè che fosse in corso una perquisizione alla Consip. Non dissi a Federica perché volevo sapere dove fosse Woodcock e lei, solo per cortesia, mi disse una cosa tipo: “Marco se lo sento ti richiamo e ti dico”. Poi mi richiamò e mi disse una frase tipo: “Marco alla fine l’ho sentito e mi ha detto che non sta a Roma. Aveva un tono sbrigativo e ha attaccato”. Il giorno dopo, letto quello che avevo scritto, sempre al telefono Federica ha commentato con me ridendo: “Vedi come fa? Quello mi dice un sacco di cazzate quando deve coprire il segreto su una sua indagine”. Questo è tutto quello che è accaduto. Per questo Henry John Woodcock e Federica Sciarelli saranno sbattuti sulle prime pagine di tutti i giornali.
Avrei potuto aspettare che la Procura accertasse da sola questa verità che certamente emergerà perché è la verità. Però qui stiamo parlando di personaggi pubblici e in particolare di un’amica che io, involontariamente, ho messo nei guai. Lo strumento essenziale di lavoro di una delle migliori giornaliste italiane è – per “colpa” mia – ingiustamente nelle mani dei pm di Roma. Sia detto per inciso gli stessi che – a quanto si sa – non avrebbero ritenuto opportuno sequestrare il telefono di Tiziano Renzi.
Ora tutti i contatti, le chat i messaggi, la rubrica di Federica Sciarelli, giornalista che si è occupata di scandali, segreti e inchieste, dalla Banda della Magliana al sequestro di Emanuela Orlandi potranno essere scandagliati dai magistrati. Non è giusto. Il pm Henry John Woodcock finirà su tutti i giornali come sospetto artefice della fuga di notizie. E non è vero. Il magistrato non solo non ha rivelato nulla a me ma con tutta probabilità (Federica mi parve sincera e penso che davvero Woodcock le disse una balla) ha mentito alla persona a lui più vicina per tutelare l’indagine.
Il giornalista del Corriere della Sera Giovanni Bianconi ha svelato per primo oggi l’indagine per rivelazione di segreto su Woodcock per l’inchiesta Consip. Io lo conosco bene. Mi ha incontrato proprio negli uffici della Procura di Roma una ventina di minuti prima dell’uscita del suo scoop. Dopo l’uscita del pezzo sul Corriere.it ho chiamato il collega per dirgli: “Giovanni, scusa perché quando mi hai incontrato non mi hai chiesto la mia versione come avresti fatto con un indagato per fuga di notizie qualsiasi come Luca Lotti?”. La risposta è stata: “Perché non ho messo il tuo nome e tu non sei una notizia”. Gli ho detto: “Hai messo la testata e tutti sanno che sono io. E poi scusa, sono un collega. Mi conosci. Ti avrei potuto spiegare come sono andate le cose e avresti fatto un pezzo più completo per il tuo lettore”. Mi ha risposto che gli avrei potuto mentire e quindi non era interessato alla mia versione. Dopo alcune ore, quando la notizia era già su tutti i siti, mi ha chiamato la collega Virginia Piccolillo del Corriere della Sera. Potrà leggere qui quello che il suo collega non ha voluto ascoltare.