La notte tra il 27 e il 28 giugno ricorre l’anniversario dei moti di Stonewall. Quarantotto anni fa la comunità Lgbt americana si ribellava alle vessazioni della polizia, cominciando una rivoluzione che arriva fino ai giorno nostri. Per tale motivo, giugno è stagione di pride. Se dovessi utilizzare alcune immagini per raccontare questo mese, inerentemente alla lotta di liberazione della gay community (in Italia e non solo) ne userei tre: quelle dei pride di Kiev, Toronto e Istanbul. Per tre ragioni diverse, ma intimamente connesse tra loro e che hanno, a parer mio, una ricaduta importante sul popolo arcobaleno nostrano.
Proteste prima del Pride 2017 a Kiev
A Kiev possiamo vedere i partecipanti scortati, per tutto il corteo, da ingenti forze di sicurezza. Le persone che hanno manifestato la fierezza di essere se stesse sono state minacciate di morte dalle solite squadre neonaziste. Fa riflettere che l’esistenza del “diverso” riesca a mettere in discussione l’identità di quel gruppo. L’altro da sé pone di fronte a paure su cui ci si dovrebbe interrogare, ma invece di capire cosa ci sconvolge di un’esistenza altra non si trova altra soluzione che l’annientamento di essa. Un poderoso caso di proiezione, in altri termini. E questo dice tanto su quali sentimenti possono stare alla base di certa omofobia. Ci spiace per loro. È stato comunque importante che le forze dell’ordine, nell’ex Repubblica sovietica, abbiano garantito il diritto di manifestare.
Justin Trudeau sfila per il Gay Pride a Toronto
La seconda immagine è quella del premier canadese, Justin Trudeau, che ha manifestato al pride della più grande città del suo paese. Si vede un uomo bellissimo, forte di un sorriso che si coniuga alle grammatiche di quella gioia è sono il linguaggio delle nostre manifestazioni. Se vogliamo, la partecipazione del primo ministro d’oltreoceano rappresenta ciò che in retorica chiameremmo antitesi, rispetto a Kiev (e a Istanbul stessa, come vedremo tra poco). E testimonia un grado di civiltà diverso: quello di un paese in cui le differenze possono coesistere senza che questo significhi disordine sociale, invasione o fine del mondo come lo si è conosciuto. A supporto di questo, ricordiamo l’omaggio che Trudeau ha portato alla comunità islamica, proprio dentro il pride, per la fine del Ramadan.
Infine, i fatti di Istanbul. Per il terzo anno consecutivo, il pride della città turca è stato vietato e i manifestanti hanno deciso di farlo lo stesso. L’immagine che mi salta in mente è quella di un nostro compagno di lotta, un ragazzo del luogo che tiene una bandiera in mano. E sfida gli idranti. Lui, il suo corpo e la forza delle sue idee. L’idrante lo punta. Prima gli fa volare via la bandiera, poi lo colpisce in pieno e lo atterra. In questa dinamica possiamo riscontrare tutta la violenza di un sistema eteronormativo che vuole annullare identità ed esistenza. Il simbolo e il corpo fisico. Eppure quel ragazzo si rialzerà. E nonostante i divieti, altri pride ci saranno in Turchia. E sebbene non possiamo immaginare quando questo accadrà, anche lì un giorno gli arcobaleni sventoleranno liberi. Perché la libertà è un moto dell’anima. Prima o poi ti prende. Esplode. Travolge. Come una marea.
Faccio queste considerazioni perché ogni anno, nel nostro paese, ci sono le solite polemiche sui pride. Sul dress code da tenere, sulla loro liceità, sull’essere “carnevalata” (e quale sarebbe il problema, mi chiedo) e sulla presunta immoralità. Non voglio tornare su questi argomenti, ognuno ha le sue idee. A me basta sapere che fra Trudeau e Gasparri – che si è recentemente scagliato contro – sono più vicino al primo e questo mi basta. Ma rispetto a un problema più globale di libertà, problema che investe anche altri luoghi, come certi paesi musulmani (dove c’è la pena di morte), la Cecenia, l’Uganda, ecc, credo che sia importante affermare la propria volontà di esserci e di esserci con “fierezza”. Dire, cioè, a un mondo che non ci ha previsto che noi ci siamo e non ci vergogniamo di essere.
Per questo credo che dobbiamo manifestare per come siamo: sobri o non sobri, secondo o fuori norma. Perché quella che da noi è libertà d’essere come ci pare, altrove viene negata in blocco. Lì non si può decidere se scendere in piazza da sobri o non sobri, secondo o fuori norma. Lì non devi essere. Per cui abbiamo il dovere di mostrare la nostra diversità. È un imperativo morale. Per far capire, innanzitutto a noi stessi/e, che sui nostri diritti – anche quello di “apparire” – non siamo disposti a recedere di un millimetro.