La Natuzzi ha annunciato lunedì durante un incontro al ministero dello Sviluppo Economico l’impossibilità di sostenere il piano industriale concordato nel 2013. Alla base degli accordi veniva fissato come obiettivo la salvaguardia di tutti i lavoratori con investimenti sia sui siti produttivi attualmente attivi che sull’apertura del nuovo sito di Ginosa, in provincia di Taranto.
Alla base dell’allarme lanciato dall’azienda barese che produce divani ci sono alcune recenti sentenze riguardanti la mancata rotazione della cassa integrazione e contro la procedura di licenziamento. Sentenze che hanno visto tre lavoratori vedersi riconosciute le proprie ragioni dal giudice del lavoro e ora dovranno essere reintegrati.
Il punto è che non solo i soli. Nella loro stessa condizione, infatti, si trovano altri 173 ex dipendenti e il loro reintegro costituirebbe un problema, secondo l’azienda. “Pieno rispetto della sentenza”, ha fatto sapere Natuzzi, specificando però che saranno “subito necessarie azioni per mantenere in equilibrio i conti della società e i numeri previsti dal piano industriale”.
In sostanza, spiega la nota diffusa dal gruppo, Natuzzi si trova di fronte “a uno scenario che potrebbe avere impatti significativi sull’attuale assetto industriale, poiché l’inserimento di ulteriori 176 lavoratori nel ciclo produttivo non è sostenibile, né economicamente né industrialmente”. Da qui la decisione, quando il quadro dei reintegri sarà definito, di provvedere contestualmente al loro rientro “al licenziamento, secondo i criteri di legge, di altrettanti lavoratori attualmente in organico”.
Inoltre, “in ragione dell’impatto economico-finanziario derivante anche dagli altri contenziosi inerenti le differenze retributive per mancata rotazione Cig nel corso degli ultimi 10 anni, per la cui gestione la società ha già stanziato un fondo di 13,5 milioni di euro“, Natuzzi aggiunge di vedersi costretta “a sospendere i nuovi investimenti previsti dal piano industriale e a non sottoscrivere il contratto di programma”.
I conti li fanno i sindacati Fenel, Filca e Fillea annunciando che il piano “è inaccettabile”. “Comprendiamo che tali sentenze rappresenteranno un ingente costo economico ma, dal nostro punto di vista, usarle come pretesto per ritirare gli investimenti ed il piano industriale non è concepibile. Abbandonare il piano industriale e gli investimenti significa tornare indietro di 10 anni, mettere nuovamente a rischio 1.300 posti di lavoro e vanificare tutti gli sforzi compiuti, in primis dai lavoratori – accusano – In questi anni siamo riusciti a preservare gran parte delle produzioni riportando lavoro dall’estero in Italia e rimettendo nel processo produttivo diretto alcune lavorazioni che venivano esternalizzate, in controtendenza con quanto sta avvenendo ancora in gran parte del Paese”.