Nulla da fare per i circa 86mila ex azionisti (su 207mila complessivi) che non hanno aderito all’offerta di transazione chiusa a fine marzo, quando Veneto Banca e Popolare di Vicenza avevano messo sul piatto 441 milioni a titolo di parziale “rimborso” con l’obiettivo di disinnescare il rischio di futuri contenziosi. Rimasti a bocca asciutta, per sperare di recuperare qualcosa dovranno fare causa alla bad bank rimasta allo Stato dopo la liquidazione dei due istituti e la cessione degli attivi a Intesa Sanpaolo. Ammesso che i tribunali lo ritengano ammissibile, visto che sul punto il decreto varato domenica è tutt’altro che chiaro. Gli obbligazionisti subordinati avranno invece diritto a un “ristoro” totale, ma solo se si tratta di persone fisiche che hanno comprato i titoli direttamente dai due istituti e prima del 12 giugno 2014. I correntisti ovviamente non rischiano nulla, come gli obbligazionisti senior per i quali è previsto un rimborso pari al 100% dell’ammontare dell’investimento.
Ecco che cosa aspettarsi a valle del “salvataggio” con soldi pubblici. Epilogo arrivato a un anno dall’intervento del fondo Atlante, che tra maggio e giugno 2016 attraverso due aumenti di capitale diventò socio di riferimento delle ex popolari venete acquisendo il 97,6% di Veneto Banca e il 99,3% di Pop Vicenza. In mezzo, l’ipotesi di una ricapitalizzazione precauzionale poi sfumata perché non c’erano soggetti privati disposti ad investire altri 1,2 miliardi riducendo l’intervento pubblico come richiesto dalla Commissione europea.
Azionisti azzerati già dal 2016 – Quando è entrato in scena il fondo finanziato dal sistema bancario i piccoli azionisti, di fatto, erano già azzerati: la mala gestione dei due istituti, i cui ex numeri uno Gianni Zonin e Vincenzo Consoli sono indagati per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, aveva fatto crollare i prezzi dei titoli a pochi centesimi dai 62,5 euro (per Popolare di Vicenza) e 40,75 euro (Veneto Banca) dei tempi d’oro. Tempi d’oro sulla carta, nel senso che all’epoca a deciderne il valore (come consentito dalla normativa sulle popolari non quotate) erano i consigli di amministrazione sulla base del parere di esperti indipendenti da loro stessi nominati. I soci, anche per effetto della pratica vietata di imporre l’acquisto di azioni in cambio di prestiti, avevano raggiunto quota 119mila per l’istituto vicentino e 88mila per quello di Montebelluna: in totale 207mila persone. A loro lo scorso gennaio il nuovo proprietario Atlante ha deciso di presentare una offerta di transazione mirata a evitare futuri contenziosi.
L’offerta di transazione accettata solo dal 70% dei soci – A disposizione c’erano fino a 600 milioni per chi avesse accettato di recuperare 9 euro ad azione nel caso di Pop Vicenza e il 15% del capitale investito per quanto riguarda gli ex soci di Veneto Banca. A rispondere all’appello sono stati rispettivamente 66.700 e 54.374 azionisti, poco più del 70% del totale. Meno di quanto speravano i due istituti, i quali inizialmente avevano previsto di non procedere al pagamento se non avesse aderito almeno l’80% della platea potenziale ma hanno poi fatto marcia indietro rinunciando alla condizione sospensiva. L’esborso totale è stato di 441 milioni. Circa 78mila persone hanno declinato la proposta, per non precludersi la possibilità di far causa alle due banche chiedendo di riavere il 100% del valore originario delle azioni. Oggi che i due istituti sono ufficialmente in liquidazione, questa strada è molto più in salita. Anche se alcune associazioni di consumatori ventilano la possibilità di far causa alla bad bank affidata alla Sga. Resta poi da decidere – spetta ai liquidatori – che fare degli ulteriori 60 milioni che Pop Vicenza e Veneto Banca avevano destinato a Iniziativa Welfare, un fondo ad hoc riservato agli azionisti “in condizioni disagiate“.
Per gli obbligazionisti junior c’è il rimborso. Ma con molti paletti – La scelta di procedere con una liquidazione coatta amministrativa fa sì che a pagare il salvataggio siano i contribuenti (con 5,2 miliardi di esborso immediato più 12 miliardi di garanzie): un bail out o “salvataggio esterno” che evita il bail in, in base al quale pagano anche obbligazionisti e correntisti con più di 100mila euro sul conto. Discorso più complicato per chi ha in tasca bond subordinati, che saranno azzerati. Il decreto di domenica prevede però per i piccoli risparmiatori, che hanno acquistato obbligazioni subordinate delle due banche per un valore di circa 200 milioni, un “meccanismo di ristoro” analogo a quello offerto agli obbligazionisti di Banca Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti. A pagare sarà il Fondo di solidarietà nato per risarcire i bondisti subordinati delle quattro banche risolte a fine 2015, integrato con ulteriori 60 milioni da Intesa. Ma per far richiesta del risarcimento, cosa che va fatta entro il 30 settembre, bisogna aver acquistato i titoli prima del 12 giugno 2014 e rigorosamente “nell’ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime banche emittenti”. Una misura che secondo il governo taglia fuori gli acquirenti a fini speculativi. Ma lascia fuori anche chi ha comprato da un’altra banca o da un promotore finanziario. In compenso, dopo i problemi sorti con i risparmiatori di Etruria & c, stavolta viene prevista la possibilità che a chiedere il rimborso siano coniuge, convivente more uxorio e parenti entro il secondo grado che abbiano ricevuto il bond dall’acquirente con un atto tra vivi.