Cosa ci si aspetta da Temptation Island, il reality estivo targato Maria De Filippi, da ieri sera in onda su Canale5? È una domanda meno sciocca di quanto si possa immaginare, perché dalla risposta che diamo dipende molto, forse tutto, della nostra concezione della televisione nazionalpopolare.
La nostra opinione sul format non è cambiata dalle scorse edizioni: un programma fatto bene, come è solita fare la corazzata defilippiana, ma imbarazzante. Attenzione: non per standard qualitativi. Perché alla domanda iniziale qui si risponde con un laconico: nulla. Non ci si può aspettare nulla di trascendentale da un programma così. È intrattenimento puro, forgiato sul canovaccio del trono di Uomini e Donne, con l’aggiunta delle dinamiche di sei coppie già esistenti, costrette a separarsi per alcune settimane e a convivere con 13 tentatori (le donne) e 13 tentatrici (gli uomini). È tronismo spinto. Come prima, più di prima.
L’aggettivo imbarazzante in questo caso va preso alla lettera: guardare le dinamiche infime di alcuni protagonisti del programma provoca imbarazzo nello spettatore. Non solo in un moralista bacchettone, sia chiaro, ma in qualsiasi essere umano dotato di una dose minima di amor proprio, di rispetto per se stesso e per il prossimo.
Una disinvoltura nelle relazioni di coppia che spaventa, con ragazzotti (maschi e femmine allo stesso modo, sia chiaro) annoiati che dopo tre giorni sono già pronti a mandare a ramengo storie d’amore di 2, 3 o 5 anni. Perché? Per una visibilità televisiva? Perché l’universo defilippiano fa gola a chi vuole sfondare nello spettacolo e magari se ci si mette in mostra a Temptation scatta il trono autunnale? O forse c’è qualcosa di più profondo? Forse il format di Canale5 non fa altro che mostrare una fetta esistente delle nuove generazioni, caratterizzata da una bulimia affettiva e relazionale che ingurgita le esperienze senza “masticarle” o digerirle e poi le butta fuori come se nulla fosse?
È un discorso complicato, forse addirittura esagerato per un programma televisivo di intrattenimento ultraleggero, con punte di vuoto spinto. Di buono a Temptation Island va riconosciuta l’onestà. Non pretendono di mandare in onda un prodotto dai contenuti alti o indimenticabili. È costruito bene, con la solita narrazione “mariana” che funziona e acchiappa. E i contenuti sono bassi, bassissimi, perché il pubblico quello vuole e quello ha.
Sul fronte della conduzione, Bisciglia fa quello che può e qualche passo avanti rispetto alle scorse edizioni c’è stato (soprattutto nella dizione, suo punto debole fino allo scorso anno). Ma da qui a dire che sia tagliato per fare il conduttore, che è l’erede di Pippo Baudo e Carlo Conti, anche no. E solo perché nel 2016 siamo stati molto duri nei suoi confronti (e il ragazzo, comprensibilmente, non ci è rimasto benissimo), non possiamo fare a meno di dire che di strada da fare ne ha ancora tantissima. Perché in tv puoi fare una carriera di successo in due modi: o hai un talento innato e lo metti a frutto senza problemi o hai molte lacune e devi farti il mazzo, sfruttando nel migliore dei modi le occasioni, anche miracolose, che hai. Bisciglia sa benissimo che la sua strada è la seconda, dunque la più lunga e tormentata. Auguri.
Ma torniamo al quesito iniziale: cosa ci si deve aspettare da Temptation Island? Due ore e mezza di cazzeggio sciocco, corna sul bagnasciuga, scenate di gelosia, personalità inesistenti che si fanno mettere i piedi in testa dai partner, sfottò sui social e chiacchiericcio estivo. Basta. Niente di più. La storia della tv non la fa certo questo programma. È domanda e offerta, è quello che una fetta di pubblico chiede. Maria De Filippi ha sempre rivendicato tutti i suoi i programmi, quelli migliori (Amici o C’è posta per te) e quelli più discutibili (Uomini e Donne e, appunto, Temptation Island): conosce il suo pubblico alla perfezione e lo accontenta sempre. È un talento innegabile, per carità, ma se il metodo lo capiamo, sul merito dissentiamo. Perché per noi, ancora una volta, Temptation Island è un brutto programma realizzato bene.