La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex amministratore delegato di Veneto Banca Vincenzo Consoli, dell’ex presidente Flavio Trinca e di altri 9 tra amministratori e manager. Le accuse ipotizzate dai magistrati Maria Sabrina Calabretta e Stefano Pesci riguardano l’irregolarità nella gestione dell’istituto di credito tra il 2012 ed il 2014: l’ipotesi accusatoria è di ostacolo alle autorità di vigilanza.
In pratica, sostengono i pm, i manager rappresentarono in maniera distorta a Banca d’Italia e Consob la situazione economica, patrimoniale e finanziaria di Veneto Banca. Gli inquirenti ritengono infatti di aver accertato che nel 2012 non venne decurtato dal patrimonio di vigilanza l’importo delle obbligazioni di Classe Ter 1 sottoscritte dalla società Mava, mentre l’anno seguente la decurtazione omessa fu di almeno 349 milioni di euro ed era correlata “al valore di azioni proprie cedute a terzi previo finanziamento concesso allo scopo ed alle perdite su crediti”. I magistrati, tra l’altro, contestano al solo Consoli di aver ostacolato l’esercizio delle funzioni di vigilanza “in sede di richiesta di autorizzazione e di successiva attuazione all’operazione straordinaria di aumento del capitale sociale per un controvalore di 474 milioni di euro“.
I magistrati romani indagavano da tempo sul tracollo finanziario dell’istituto che ha coinvolto migliaia di risparmiatori e avevano chiuso le indagini nello scorso dicembre, quando Consoli era ancora ai domiciliari in seguito al crac di Montebelluna tra il 2013 e il 2014, prima dell’azzeramento del valore delle azioni e dell’ingresso del fondo Atlante. Durante le indagini ci sono state perquisizioni e sequestri, tra i quali quello del palazzo di Vicenza in cui Consoli risiedeva, del valore di 1,8 milioni di euro. Il valore complessivo dei sequestri è pari a circa 45 milioni. Proprio in questi giorni, in seguito a quello scandalo, Veneto Banca – assieme alla Popolare di Vicenza – è stata liquidata e gli attivi sono stati ceduti a Intesa Sanpaolo.
All’ex amministratore delegato, tornato in libertà lo scorso gennaio, viene addebitato in concorso con Trinca e con i componenti del collegio sindacale Diego Xausa e Michele Stiz anche il reato di aggiotaggio perché nel comunicare alla Banca d’Italia ed al pubblico dati non corrispondenti al vero, ponevano “in essere – si legge nel capo di imputazione – artifici idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni di Veneto Banca, strumento finanziario non quotato” che “transitavano da un valore di 21,25 euro nel 2004 ad un valore di 40,75 euro nel 2013 e che venivano poi rivalutate in sede di liquidazione dei soci in recesso”, nel dicembre 2015, “per un valore di 7,3 euro“.
Secondo quanto riporta La Stampa, poi, sempre Consoli è indagato per estorsione e truffa dalla procura di Treviso. L’indagine è nata, scrive il quotidiano torinese, in seguito a un esposto di Pietro D’Aguì, ex socio di Banca Intermobiliare: l’operazione di vendita, avviata nel 2008 e pagata con azioni di Veneto Banca, sarebbe stata “organizzata e compiuta anche per concambiare azioni sopravvalutate che da un giorno all’altro avrebbero potuto perdere parte del loro valore”.