Il grande cineasta è ospite alla rassegna Cinema Ritrovato 2017 di Bologna per il restauro del suo film d’esordio, del 1970, L’uccello dalle piume di cristallo. Settantasette gli anni del maestro del brivido, ma ancora la voglia di non omologarsi al pensiero dominante
“I film sui supereroi Marvel sono pagliacciate”. L’anatema anticommerciale è di Dario Argento, ospite speciale al Cinema Ritrovato 2017 di Bologna per il restauro del suo film d’esordio, del 1970, L’uccello dalle piume di cristallo. Settantasette gli anni del maestro del brivido, ma ancora la voglia di non omologarsi al pensiero dominante. “Il cinema commerciale non mi piace. Guardo film indipendenti sud coreani, giapponesi, argentini, anche statunitensi, ma che hanno l’urgenza di raccontare qualcosa”, spiega Argento ad una folla di spettatori sempre zeppa di giovani e giovanissimi giunta per seguire una “lezione di cinema”.
“Ma quale lezione e lezione? Io non sono professore. Racconto i miei film, la mia vita”. Ed è il restauro di un capolavoro, dapprima non voluto e incompreso dal distributore italiano, poi campione d’incassi in mezzo mondo, a fare da filo conduttore all’ennesima giornata da star, durante la quale dopo quasi mezzo secolo da cineasta ad ogni angolo di strada c’è qualcuno che chiede ad Argento un autografo. “Scrivevo sceneggiature come ogni giorno per altri registi come Sergio Leone, ma mentre buttavo giù le righe de L’Uccello dalle piume di cristallo sentii una voce dentro di me che mi diceva che questo film era diverso”. È lì che papà Argento decide di produrre lo script del figlio Dario e affidargli la regia. Manca giusto un distributore, che sarà il grande Goffredo Lombardo della Titanus. “Qui cominciano le disavventure. Dopo una settimana di girato Lombardo volle vedere il materiale. Mi chiamò nella sua villa vicina al mare di Roma e mi vomitò addosso critiche immense: ‘Ti sostituiamo. Il film non è un giallo, anzi non è niente’. Aveva in mente un sostituto alla regia. Ci prendemmo quasi a spintoni”. Lo sconosciuto e ardimentoso Argento arrivò comunque alla fine delle riprese. E quando ci fu la visione del film negli studi Titanus si racconta che la prima a provare una gran paura sia stata la segretaria di Lombardo, Cesarina, intenta a mangiare un panino sconvolta e con le mani tremanti. “L’uccello… uscì a Torino e Milano ma andò male e dopo una settimana lo tolsero. Mio padre si impuntò e volle farlo riuscire in altre città. Il film venne distribuito così a Napoli, Roma, Firenze e misteriosamente in pochi giorni ebbe un successo enorme. Negli Stati Uniti scalò il box office come nessun altro film italiano dell’epoca”.
L’uccello dalle piume di cristallo fu davvero uno shock per gli spettatori del 1970 e avviò un filone di thriller/horror, con l’apoteosi di Profondo Rosso, che consacrò Argento a livello internazionale. Pur ispirandosi a Mario Bava l’allora 30enne Dario mescolò in un trip di incredibile autonomia creativa detection gialla e dettagli orrorifici per poi inventare uno stile e una poetica del terrore che fece scuola. “Sono sempre stato ispirato dall’iconografia cattolica, dai quadri con i diavoli, da quelli con i santi e le sante che ho divorato nelle visite ai musei. Come del resto ho sempre subito il fascino della bellezza femminile fin da quando mia mamma che faceva la fotografa di moda nel doposcuola mi ospitava nel suo studio e io vedevo tutte queste modelle, con questo trucco pesantissimo, che si spogliavano e rivestivano in continuazione fino a turbarmi”- ha spiegato il regista durante la “lezione” al Cinema Ritrovato 2017. Il film dell’esordio di Argento vede anche la collaborazione alla colonna sonora di Ennio Morricone, in pieno periodo di improvvisazione jazzistica: “Presi un po’ dei miei vinili rock, li raccolsi e li portai a casa sua. Quando Morricone mi vide mi guardò storto: ‘Che è quella roba?’, fece indicando i dischi. E io: ‘Sono per farti capire l’atmosfera del film’. Lui: ‘A me vuoi far sentire musica di altri musicisti? Ma falli sparire’ ”.
L’incontro con Argento finisce ovviamente per essere un amarcord degli inizi, quando con Bernardo Bertolucci faceva coppia fissa per creare il soggetto di C’era una volta il West, ancora progetto di Sergio Leone, e le vittime dei suoi film non coloravano già di rosso il grande schermo. “Leone era già venerato dai produttori hollywoodiani, però era in difficoltà per la storia di un western con una donna protagonista. Era convinto che nessun sceneggiatore italiano sapesse fare un film su una donna. Così gli dissi che gli avrei presentato Bertolucci. Ci incontrammo in un cinema finita la proiezione di un film. Quando Bernardo lo vide gli disse: ‘Adoro il modo con cui lei riprende il culo dei cavalli’. Leone non si scompose, anzi, dopo mi disse ‘È un ragazzo intelligente, lavorate insieme e datemi un film con una donna vera, non con la solita puttana del cinema italiano’ ”.