Nel Pd “non possiamo rimettere sempre in discussione tutto” dice il ministro per lo Sport Luca Lotti. “A dire la verità la discussione è appena iniziata”, anzi “Siamo all’abc della democrazia interna” risponde il ministro della Cultura Dario Franceschini. Il confronto tra i democratici, dopo la sconfitta alle amministrative, comincia a mettere di fronte i pezzi grossi non solo del partito, ma anche dello stesso fronte renziano. La linea dei fedelissimi, duri e puri, è chiara: negare che ci sia un problema e invitare a sopire la discussione perché Matteo Renzi è stato eletto da “due milioni di persone”. A parte che alle primarie del Pd Renzi ha preso poco più di un milione e 200mila voti, la strategia è comunque quella che oggi ribadiscono tutti i dirigenti vicini al segretario. Lo dice per esempio il responsabile Enti locali Matteo Ricci che oggi ha spiegato in tv che il Pd – fatti i dovuti calcoli – ha preso il 37 per cento alle Comunali in cui ha perso altre città capoluogo tra cui Genova, Pistoia e Piacenza. Lo ribadisce poi Debora Serracchiani: “Logorare il Pd e Renzi davvero non serve a nessuno. Come sempre assistiamo a questo: lo hanno fatto con Veltroni, con Franceschini, lo hanno fatto con tutti. Adesso però direi basta, parliamo di cose che interessino il Paese”.
E chiude il cerchio proprio Lotti, braccio destro del leader. Ha letto Franceschini che dice che vi state isolando, gli chiede Repubblica? “Credo che non ci sia molto da rispondere” risponde il ministro. “Non possiamo rimettere sempre in discussione tutto – aggiunge – Abbiamo votato, pochi giorni fa, abbiamo fatto le nostre primarie: in due milioni hanno espresso il loro voto a Renzi, fine della discussione. No al logoramento interno”. Quanto alle comunali “analizziamo tutto, ma se parti subito con l’attacco in questo modo è un’offesa per le persone che hanno votato”. Franceschini, contattato a stretto giro dall’Ansa, è diplomatico ma non manca di chiarezza: “A dire la verità la discussione è appena iniziata – replica il ministro della Cultura – In un partito che si chiama democratico, discutere civilmente e apertamente del proprio futuro e di come andare alle prossime elezioni, se da soli o in coalizione, è una cosa normale, positiva e utile che non comporta la messa in discussione della leadership del segretario che abbiamo eletto insieme alle primarie. Francamente siamo all’abc della democrazia interna“.
La miccia di questo ulteriore scontro tra renziani (puri da una parte, di sostegno dall’altra) era stata un’intervista che Franceschini aveva dato a Repubblica. “Quando perdi – aveva detto tra l’altro – vuol dire che si è rotto qualcosa con il tuo elettorato, con il Paese, e devi capire cosa. Devi ricucire. I numeri di questa tornata amministrativa purtroppo parlano chiaro”. Il ministro aveva sottolineato la necessità di un confronto franco, senza ambiguità. La via da intraprendere non può essere che quella della ricomposizione del centrosinistra” anche perché “il centrosinistra perde principalmente perché il suo elettorato ha imboccato la strada dell’astensione“. Scissioni, contrasti, polemiche non possono “trasformarsi in un alibi“. E, involontariamente, è lo stesso concetto espresso da Pierluigi Bersani, dirigente di Mdp, al Corriere della Sera: “Ci vuole coraggio” a dare le colpe alle scissioni, spiega, “segnalo dei tratti di ingenerosità che a molti appaiano canaglieschi”. Il Pd, afferma, “sta sulle scatole a un numero crescente di italiani e ha tranciato i rapporti con una sensibilità di sinistra e di civismo. Renzi ha continuato a negare i problemi con un solipsismo sempre più arrogante”.