Va sanzionato chi ha reso possibili i crac. Non sarebbe una partita di giro, perché a finanziare il bilancio delle authority sono i soggetti vigilati, ossia banche, intermediari e società quotate. Serve poi una procura nazionale che si occupi solo di reati finanziari: il sistema giudiziario italiano oggi garantisce una sostanziale impunità ai banchieri che con la loro malagestio hanno prodotto perdite per miliardi
Ora che la frittata è fatta e che i contribuenti sono chiamati a pagare il conto plurimiliardario del crac delle due banche venete, sull’intera vicenda si cercherà di stendere una coltre di silenzio per coprire le vergognose responsabilità di chi l’ha gestita. Il Tesoro prova addirittura a spiegarci che abbiamo fatto un ottimo affare a caricarci sulle spalle il peso dei crediti inesigibili, delle perdite, dei contenziosi e degli esuberi in capo a Popolare Vicenza e Veneto Banca e a regalare a Intesa Sanpaolo la parte buona: alla fine, tra un po’ di anni, ci guadagneremo addirittura 700 milioni. Detto dal ministro Pier Carlo Padoan, uno che non sa neanche quanto costa un litro di latte, c’è davvero da crederci. Il punto centrale di questa storia, però, è che la soluzione trovata – oltre a essere quella che massimizza i costi a carico della collettività a beneficio di un privato, il gruppo Intesa Sanpaolo – rende ancora meno credibile l’intero sistema e favorisce il cosiddetto “azzardo morale” da parte di banchieri privi di scrupoli.
Posto che le responsabilità principali dell’accaduto sono in capo a Gianni Zonin, Vincenzo Consoli e ai loro allegri compagni di merende, corre l’obbligo di ribadire che non avrebbero certo potuto stare al timone delle due banche venete per quasi un ventennio, facendole crescere anche a colpi di acquisizioni, senza la complicità diretta e indiretta di autorità di controllo – Bankitalia in testa – che si sono distinte unicamente per aver girato la testa dall’altra parte e chiuso ben più di un occhio. I comportamenti adottati sono sotto gli occhi di tutti: nessuna contestazione su come venivano gestiti gli istituti di credito e su come e a chi venivano piazzati strumenti finanziari rischiosi e illiquidi come le azioni non quotate delle due banche popolari e le obbligazioni subordinate. Mai nessun rilievo pubblico su come veniva determinato il valore (sempre in crescita) delle azioni delle due banche in assenza peraltro di valutazioni di terzi indipendenti, mai nessun serio controllo anche perché – nel caso della Popolare di Vicenza – un certo numero di uomini-chiave della Banca d’Italia, tra cui lo stesso capo della Segreteria particolare dell’allora governatore Mario Draghi, sono stati assunti in posizioni di assoluto rilievo dallo stesso Zonin. Si tratta solo di alcuni elementi, ma sufficienti per far capire come non possa essere considerato credibile un sistema nel quale l’Autorità di controllo arriva a prestare il fianco a simili critiche e, anziché trovarsi sotto inchiesta per le sue responsabilità e gli omessi controlli, viene ritenuta parte offesa, tanto che Zonin, Consoli e gli altri dovranno rispondere del reato di “ostacolo all’attività di vigilanza”. Peccato che le autorità di controllo sapessero tutto.
Bankitalia e Consob non hanno vigilato: risarciscano i danni – Chi ha subito l’azzeramento delle azioni e delle obbligazioni subordinate, e lo stesso Stato che è intervenuto con i soldi dei contribuenti per far fronte al crac, dovrebbero chiedere alla Banca d’Italia di risarcire i danni. Un discorso analogo vale per la Consob, che non si è affatto curata di controllare le modalità di collocamento di azioni e obbligazioni subordinate, vendute molto spesso in violazione delle norme di legge a soggetti del tutto privi dei requisiti previsti per l’acquisto. Anche la Consob dovrebbe essere chiamata a rispondere delle sue mancanze risarcendo i risparmiatori truffati e lo Stato per il danno erariale. Non si tratterebbe di una partita di giro tra fondi pubblici, ma di risarcimenti veri perché a finanziare il bilancio delle Authority sono i soggetti vigilati, ossia le banche, gli intermediari e le società quotate, e soprattutto sanzionare chi ha reso possibili i crac a causa delle sue omissioni è il primo, vero passo, che può contribuire a ridare credibilità ad arbitri di cui non si fida più nessuno.
Il flop della quotazione in Borsa e il prospetto su cui va aperta un’inchiesta – Ma le responsabilità di quanto accaduto non si fermano certo alle autorità di controllo: investono in pieno il governo che queste crisi le ha malamente gestite fino a condurle all’epilogo vergognoso di questi giorni: 17 miliardi di denaro dei contribuenti tra fondi distribuiti a Intesa Sanpaolo, coperture varie e garanzie pubbliche. Serve un breve riepilogo: la vigilanza bancaria sugli istituti di maggior importanza (tra cui Popolare Vicenza e Veneto Banca) passa dalla Banca d’Italia alla Bce e scoppia così il bubbone della crisi dei due istituti, crisi che appare subito gravissima. I due istituti si trasformano in spa nei tempi prescritti dalla legge sulle banche popolari del governo Renzi (legge su cui pende ora il giudizio della Consulta) e vengono spinti a quotarsi in Borsa per ripianare il deficit di capitale. La prima a provarci è Popolare di Vicenza, forte di un consorzio di garanzia capitanato da Unicredit e dell’appoggio del governo. La Consob dà il proprio via libera a un prospetto informativo sul quale – essendo l’azione penale obbligatoria – si spera che prima o poi qualche procura apra un’inchiesta. Nessun serio investitore nazionale e internazionale è disposto a mettere un euro sulla ex popolare vicentina e, per fortuna, solo pochi vecchi soci abboccano all’amo. Per salvare Unicredit dall’incauta garanzia prestata dall’allora amministratore delegato Federico Ghizzoni, arriva il neo-costituito fondo Atlante che – per 10 centesimi ad azione – sottoscrive l’intero importo dell’aumento di capitale evitando così il bail-in della popolare vicentina.
Circa due mesi dopo si ripeterà la stessa scenetta con Veneto Banca. Giova ricordare che il fondo Atlante è privato, ma solo per finta: a “ispirarne” la creazione è il Tesoro e a metterci il grosso dei soldi, oltre alle maggiori banche (eccezion fatta per Mediobanca) e a diversi gruppi assicurativi, sono anche società pubbliche come Cassa depositi e prestiti e Poste Vita. Atlante è in sostanza uno strumento che agisce su regia del Tesoro (e infatti è stato costituito proprio nelle stanze di Via XX Settembre per aggirare i vincoli europei) anche se è formalmente autonomo. A guidarlo è Alessandro Penati, il presidente di Quaestio sgr, che all’indomani dell’operazione sulla Popolare vicentina dichiara: “Per la ristrutturazione di una banca ci vogliono 3 anni, ma io conto di riuscirci anche in 18 mesi”.
I 3,5 miliardi investiti dal fondo Atlante in fumo in meno di un anno – Intanto, l’intero investimento di Atlante nelle due banche venete – oltre 3,5 miliardi di euro – va letteralmente in fumo in meno di un anno. Eppure, ancora poche settimane, fa il governo stava trattando con Bruxelles una “ricapitalizzazione preventiva” sostenendo, con l’avallo della Bce, che i due istituti erano solvibili. Nello stesso tempo, nel vano tentativo di evitare il crac, si chiedeva ai vecchi azionisti di aderire a una transazione tombale e rinunciare per pochi spiccioli alla possibilità di agire in giudizio contro le due banche. In prima fila, a premere sul parco buoi degli azionisti per convincerli ad aderire, c’era proprio il ministro Padoan, quello che oggi spiega che i contribuenti hanno fatto un vero affare a impegnare 17 miliardi sulle due banche venete.
Caduta la possibilità di “ricapitalizzazione preventiva” da parte dello Stato perché non si è trovato neanche un soggetto privato disposto a mettere ulteriori 1,2 miliardi come richiesto da Bruxelles (o forse i privati c’erano, ma al Tesoro sembra che non abbiano voluto neanche ascoltarli), Popolare Vicenza e Veneto Banca sono passate nello spazio di poche ore dall’essere “solvibili” a due catorci “falliti o in via di fallimento”. Questa svolta di 180 gradi è quella che mostra con chiarezza fino a che punto si possano piegare le regole a proprio piacimento e che contribuisce forse più di ogni altra ad alimentare sfiducia nel sistema, arrivando a mettere in discussione l’unione bancaria e l’autorevolezza della stessa Bce. Il tutto per reggere il sacco a un governo che agisce esclusivamente nel proprio interesse politico, anziché in quello dei cittadini. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nella liquidazione delle due banche regalate a Intesa Sanpaolo viene bruciata un’enorme quantità di denaro che si va a sommare agli oltre 3,5 miliardi già persi dal fondo Atlante.
Il sistema giudiziario garantisce l’impunità ai banchieri: serve procura nazionale ad hoc – La scelta di non ricorrere al bail-in quando andava fatto ha massimizzato i costi a carico di tutti i contribuenti che – per far fronte agli impegni che si è assunto lo Stato – si sono sostanzialmente autotassati con 700 euro a testa. Governo e autorità di controllo hanno fatto carte false pur di evitare il bail-in che loro stessi avevano a suo tempo approvato in sede europea senza sollevare obiezioni e che, se applicato, avrebbe consentito di ridurre gli oneri a carico della collettività. Intanto, un sistema giudiziario vetusto garantisce sostanzialmente l’impunità ai banchieri che con la loro malagestio hanno prodotto perdite per miliardi di euro. Non è un caso: se ancora non sono state riviste le norme sui reati finanziari, se non è stata ancora istituita una procura nazionale sul modello dell’Antimafia con poteri analoghi anche per quanto riguarda il sequestro dei beni, è solo e soltanto perché gente come Zonin e Consoli fa comodo alla politica, finanzia gli amici degli amici, dà una mano (e qualcosa di più) in tempi di elezioni e contribuisce a consolidare determinati blocchi di potere. Ecco perché contribuire con 17 miliardi di denaro pubblico a tappare i buchi prodotti da questi signori è ancora più odioso: i contribuenti pagano e loro, al solito, ridono dall’alto della loro impunità.