Ho intenzionalmente evitato di scrivere articoli sia sul recente decreto legge sulle vaccinazioni che sul caso del bambino leucemico morto di morbillo perché in entrambi i casi l’argomento mi sembrava più adatto a polarizzare le opinioni che a favorire un discorso costruttivo. Ho però letto, e a volte commentato, gli articoli che parlavano di questi argomenti e ho potuto mettere a fuoco una riflessione sulla difficoltà del discorso. Il problema, mi pare, riguarda più la psicologia sociale che la questione delle malattie o dei vaccini.
A parole nessuno dubita della validità dei vaccini come strumento di prevenzione delle malattie: neppure più il Movimento 5 Stelle, che nasce dagli spettacoli teatrali antiscientifici e contrari ai vaccini di Beppe Grillo, tuttora reperibili sul web. Il dialogo si svolge tra chi è favorevole ai vaccini, e chi si dichiara favorevole “con prudenza”. L’argomentazione dei favorevoli, che è anche la mia, è semplice: la probabilità di danni permanenti o morte causati dalla malattia è superiore alla probabilità di danni permanenti o morte causati dal vaccino, quindi vaccinarsi conviene.
L’argomentazione dei prudenti all’apparenza è una richiesta di informazioni. Il prudente vorrebbe essere rassicurato sulla sicurezza del vaccino, sulla sua opportunità, etc. Purtroppo, secondo i prudenti, spesso nessun dato a sostegno dei vantaggi derivanti dalla vaccinazione è abbastanza rassicurante. I prudenti diffidano delle industrie produttrici di farmaci e vaccini, che hanno interesse a vendere i loro prodotti, e delle istituzioni pubbliche, che sarebbero corrotte dalle industrie stesse. Anche la ricerca pubblica, essendo almeno in parte finanziata dall’industria, è sospetta. Di fatto le informazioni richieste dai prudenti sono già ampiamente disponibili sui siti delle istituzioni mediche più prestigiose, quali il Center for Disease Control di Atlanta, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, o l’Istituto Superiore di Sanità (per citarne solo qualcuno): il problema è che non vengono ritenute degne di fede.
Poiché il dialogo è bloccato perché non esiste alcuna istituzione il cui prestigio sia sufficiente ad arbitrarlo, farò una ragionevole proposta per sbloccarlo: considererò, per assurdo, l’ipotesi che non sia disponibile alcuna informazione definitiva sulla validità delle pratiche vaccinali. Secondo questa ipotesi non si può dire che il vaiolo è stato eradicato dal vaccino, e che i vaccini hanno sconfitto la difterite, il tetano e la poliomielite: queste malattie sono scomparse o sono state domate per ragioni imprecisate, nello stesso periodo in cui sono stati sviluppati i relativi vaccini. Il comportamento logicamente più coerente che consegue a questa ipotesi è quello di vaccinarsi e vaccinare i propri figli con la metà dei vaccini disponibili, scelti a casaccio. Infatti, se si adotta l’ipotesi di non sapere se la vaccinazione conviene o non conviene, il comportamento più prudente, cioè più lontano dall’alternativa di massimo rischio, è quello “medio”. Se i vaccini fanno male, rifiutando la metà di quelli disponibili avrò dimezzato il massimo rischio. Se invece i vaccini proteggono, accettando la metà di quelli disponibili avrò ottenuto la metà del massimo vantaggio possibile. Nell’ipotesi dell’ignoranza totale sulle conseguenze della vaccinazione, non c’è vantaggio nelle posizioni estreme: le scelte di vaccinarsi con tutti i vaccini o non vaccinarsi con nessuno comportano entrambe grossi rischi.
Questo ragionamento, ovviamente, non riguarda i favorevoli che faranno tutti i vaccini consigliati dalle autorità competenti: chi non ha dubbi sceglie di conseguenza. Riguarda invece i prudenti, perché chi ha dubbi deve scegliere il comportamento statisticamente meno pericoloso. A meno che, dopo tutto, sotto la richiesta di informazioni e le lamentale di non avere i dati necessari a decidere, si nasconda un rifiuto pregiudiziale delle vaccinazioni.