Cultura

Beppe Cottafavi, l’uomo dietro ai successi in libreria di Totti, Guccini, Guzzanti si racconta: “Eco mi ha insegnato il ‘tocco magico’ dell’editor”

"L'idea primigenia del libro delle barzellette è stata di Marco Giusti - racconta Cottafavi a FQMagazine - il quale stando a Roma e sapendo di che genere di libri mi occupassi, una sera mi disse: “Ma tu che fai questo genere di libri - che lui definì del cazzo - perché non raccogli le barzellette di Totti?” E io gli dissi: “Cazzo, Marco, che idea!”

di Francesco Aliberti

Beppe Cottafavi, modenese classe 1955, è un venerato maestro dell’editoria italiana. Da ormai trent’anni è l’editor di importanti scrittori e di clamorosi successi da libreria, come Corrado Guzzanti, Edmondo Berselli, Daniele Luttazzi, Francesco Totti, Dino Risi, Francesco Guccini, Christian De Sica Sofia Viscardi. Recentemente ha fatto parte della squadra mondadoriana della narrativa italiana che ha lavorato ai libri di Stefano Massini, finalista al Campiello con Qualcosa sui Lehman, e di Teresa Ciabatti, finalista allo Strega con La più amata. Re Mida lunatico, nell’accezione celatiana e padana del termine, tutto quello che tocca diventa oro da classifica dei libri più venduti. Un tocco che miscela alto e basso che lui dice di avere imparato da Umberto Eco, di cui è stato allievo fra i prediletti.
All’appuntamento sotto casa sua arriva in bicicletta, non ha la patente. Viene dall’enoteca con due sporte di bottiglie di vino ai manubri. Tutto rigorosamente lambrusco di Sorbara: “queste le mettiamo subito in ghiaccio“. Capisco perché non ha mai voluto trasferirsi da qui alle capitali dell’editoria italiana. Milano e Roma sembrano molto lontane, e questa, per dirla con Guccini, “piccola città bastardo posto” è il suo luogo naturale, la sua zona di comfort.
Nell’ingresso del palazzo di casa il vano scale è strapieno di libri. È così a salire nei piani. Mi stupisco che siano in un “parcheggio” incustodito: “Non ti preoccupare. I libri non li ruba nessuno. Da qui non è mai sparito niente. Del resto per rubare i libri bisogna conoscerli.”.

Da Umberto Eco a Francesco Totti.  Cominciamo dal Capitano, tu sei l’editor e l’inventore del successo delle barzellette. Quante copie ha venduto?Un milione e duecentomila copie.

A chi viene l’idea?
Dunque, l’idea primigenia del libro delle barzellette è stata di Marco Giusti, il quale stando a Roma e sapendo di che genere di libri mi occupassi, una sera mi disse: “Ma tu che fai questo genere di libri – che lui definì del cazzo – perché non raccogli le barzellette di Totti?” E io gli dissi: “Cazzo, Marco, che idea!”  Lui stando a Roma le aveva nelle orecchie.

Totti ci sta subito?
No, io mi faccio vivo e sondo Totti, che non era all’epoca felicissimo di questo genere di barzellette che lo prendevano per il culo, ed era anzi piuttosto arrabbiato. Siamo nel 2000 ed è sindaco di Roma Walter Veltroni. Né io né Marco avevamo avuto l’idea brillante di chiedere a Totti medesimo di firmare questo libro, cioè pensavamo di raccogliere barzellette per prendere in giro Totti e quindi lui non era contento. Poi grazie all’intervento di Walter Veltroni, che di calcio e di calciatori credo che in Italia ci capisca allo stesso modo del CT della Nazionale di calcio, e all’intervento di Costanzo, che contemporaneamente aveva avuto la stessa idea, si costruì questo pacchetto virtuoso per cui loro convinsero Totti a firmare il libro. Questo equivaleva a un Generale dell’Arma dei Carabinieri che avesse firmato il libro di barzellette che prendono per il culo i Carabinieri. 

 È vero che lui ha destinato i diritti d’autore in beneficenza?
Nella mia lunga carriera la beneficenza l’ho vista vanificarsi, se non prendere i contorni della truffa. In questo caso probabilmente Totti non pensava che avrebbe venduto e guadagnato tanto, però io ho visto i due assegni firmati e devo dire che lui grazie a quest’operazione non ha preso un euro, sicuramente non ne aveva bisogno visti i suoi emolumenti calcistici, però da testimone so che sono andati a buon fine gli assegni, uno all’Unicef di cui lui è testimonial, e l’altro a un servizio di telesoccorso agli anziani del comune di Roma.

 Doveva essere una cifra enorme.
Una montagna di soldi! Devo dire che nella mia carriera tanto denaro, realmente dato in beneficenza, io lo posso attribuire solo a Totti, quindi chapeau al Capitano.

Però da giovane studiavi semiotica con Umberto Eco. Hai anche scritto Micro-procès temporels dans le premier chapitre de Sylvie de Gérard de Nerval, un saggio apparso sulla rivista Versus.
Dunque, non è che si scrivesse su Versus come si scrive sul giornale, Versus era la rivista diretta da Umberto Eco, il professore con il quale ho studiato, una rivista accademica di studi semiotici; era, anzi è ancora la più importante del proprio settore. 

 Siamo all’inizio degli anni ’80,
Si, riguarda un percorso di studi e di ricerche che un gruppo di allievi di Umberto Eco, di cui io facevo parte, fece attorno a un testo meraviglioso, Sylvie di Gérard de NervalGérard de Nerval è un “ultimo romantico”, protosimbolista, in Francia importantissimo e molto riconosciuto, ed è uno scrittore assai importante perché è quello da cui Marcel Proust in qualche modo modellizza il meccanismo della memoria involontaria. 

Ho letto. Piuttosto complesso.
Molto complesso dal punto di vista dell’architettura temporale, e io costruisco una specie di semiotica del tempo dentro questo testo. A posteriori l’ho riletto quel saggio, è abbastanza ben fatto, tant’è che i risultati della mia ricerca Eco li utilizzerà in quel testo che lui dedicherà sempre a Sylvie di Gérard de Nerval in un suo libro  importante che sono le Sei passeggiate nei boschi narrativi

 Cosa ricordi in poche parole della sua lezione di quegli anni? Cosa ti ha lasciato soprattutto come studente?
Io ho lavorato almeno dieci anni da studente, e anche dopo, con Eco; era un professore straordinario perché non ti aiutava a fare nulla, trasmetteva la conoscenza e il sapere attraverso il modello della seduzione. Studiavo con lui mentre scriveva Il nome della rosa, un Eco al massimo di tutta la sua potenzialità; però mentre non ti raccomandava, per dirlo come una parolaccia, aveva di straordinario che “faceva vedere”. 

 In che senso, vi coinvolgeva?
Quando scriveva l’articolo per l’ Epresso, le famose “bustine di minerva”, ci chiamava nel suo ufficio e testava il suo articolo leggendolo a noi per primi. Tra le altre cose in quel momento, oltre alle sue collane di semiotica e di filosofia, faceva una cosa che è stata fondamentale per la mia formazione e la mia carriera, una collana per Bompiani, “ Amletica leggera”: cioè inizia a fare la Varia in Italia, aveva visto l’esplosione della Varia in America mentre insegnava lì. 

La collana in cui uscì Mafalda
Esatto, In quella collana pubblicò Mafalda di Quino, le traduzioni dei libri di Woody Allen, il primo libro di Paolo Villaggio Come farsi una cultura mostruosa, cioè la presa in giro del modello di Mike Bongiorno, su cui poi scrive la Fenomenologia di Mike Bongiorno e lo studio fondativo delle comunicazioni di massa, coofirmato da Beppe Viola e Jannacci che si chiamava l’Incompiuta. Questa è una cosa che ha avuto un’enorme importanza nella mia carriera editoriale, io l’ho imparata tutta da lui.

Eco ti ha insegnato il tocco magico dell’editor
Sì, questo tocco magico, miracoloso, che è stato riconosciuto anche a me, di saper coniugare con sagacia alto e basso l’ho visto nella miglior cucina possibile, di questa editoria minore che faceva lui. Un altro libro importantissimo che gli ho visto fare è Il malloppo di Marcello Marchesi. Marcello Marchesi era un grandissimo umorista italiano della stagione di Metz, Manzoni, scriveva i film di Totò, faceva L’uomo di mezz’età. A un certo punto con Eco editor, credo un editor molto interventista, coautore, scrive questo meraviglioso libro, Il malloppo, un romanzo in cui ogni frase è una battuta; siamo all’epoca del pieno sviluppo del Gruppo 63, e questo è il romanzo più d’avanguardia e più sperimentale, oltre a essere divertentissimo. Io ho avuto la fortuna enorme di poter vedere tutte queste cose.

Hai frequentato il DAMS ai suoi albori, hai avuto la fortuna di incrociare professori anche del calibro di Gianni Celati,
Mi ricordo che nel ’74/75, io frequento il corso di Letteratura angloamericana che Celati teneva al DAMS, quell’anno il corso era “Dai Beatles ai Jefferson Airplane”, per dirti com’erano quei tempi. A quel corso ho incontrato Pier Vittorio Tondelli, che era un mio coetaneo, Andrea Pazienza e Roberto Antoni, cioè Freak degli Skiantos. Purtroppo stiamo parlando di miei amici, che sono morti tutti e tre; sono anche tempi di grandi lutti e grandi dolori per tanti motivi che vanno, come noto, dall’eroina, alle armi, al terrorismo. Però il DAMS in quegli anni di Bologna era un luogo di incontri. Eravamo una decina a seguire quel corso, anche Marco Belpoliti, Stefano Bartezzaghi, tanta gente molto interessante.

I nomi con cui ha lavorato sono tanti. Facciamone alcuni: con Luttazzi sei andato a processo.
Sì perché qui siamo ai tempi di Comix, pubblicammo Va’ dove ti porta il clito, parodia di Va’ dove ti porta il cuore, di Susanna Tamaro, e subimmo due processi, vinti entrambi. Quella fu un’epoca eroica, molto divertente del periodo in cui l’editoria italiana faceva fatturati interessanti con i comici.

Francesco Guccini?
Guccini è uno scrittore vero, stiamo parlando di un autore serio; Guccini è divertente perché è la persona più pigra del mondo, non ha mai voglia di fare nulla. Fare un libro con Guccini ed essere l’editor di Guccini significa intanto andare molto spesso a Pavana, dove lui vive, un luogo anche difficilmente raggiungibile, almeno per me perché con Francesco condivido il fatto che io, lui e Alberto Mattioli, credo che siamo gli unici tre modenesi della città della Ferrari che non sono capaci di guidare una macchina. Quindi significa anche stimolarlo molto e fare un lavoro quasi di ostetricia per portarsi a casa il libro.

Un altro grande modenese: sei l’inventore in libreria di Edmondo Berselli.
Edmondo non aveva bisogno di essere inventato. Oltre ad essere stato un vero amico, per me è stato uno degli incontri più nutrienti e importanti anche dal punto di vista degli affetti e dei sentimenti nella mia vita; io sono responsabile di aver “demulinizzato” Edmondo, di aver portato Edmondo da Il Mulino a una casa editrice generalista come Mondadori, perché aveva voglia di avere un pubblico più ampio e di averlo aiutato perché non scrivesse come un accademico, come un professore de Il Mulino – tra l’altro lui non ha mai insegnato un minuto della propria vita – fino ad arrivare, per merito suo, secondo me, ad uno dei livelli di scrittura più pulita, esatta e divertente che la nostra epoca abbia conosciuto.

Sofia Viscardi.
Sofia Viscardi riguarda il mio lavoro ormai da più di vent’anni di consulente con la Mondadori. Siamo in tutto un altro set, Sofia Viscardi fa in questi giorni l’esame di maturità, è una ragazzina che va ancora a scuola ed è forse la più interessante di quel mondo cosiddetto degli “youtubers” italiani. Io sto lavorando assieme a lei al suo nuovo libro, e Sofia è un talento naturale come capita raramente di incontrare, capita una volta ogni dieci anni. È una ragazza intelligentissima che ha delle cose da dire non solo dentro il “tubo”, ma è stata capace di dirle dentro questo piccolo romanzo.

Chi sono e chi sono stati i venerati maestri dell’editoria e chi sono stati invece i soliti stronzi?
No, io dei soliti stronzi non ho voglia di dirti nulla, anche se il mondo è pieno di stronzi sia soliti, sia non soliti. Io devo dire che ho avuto la fortuna di studiare con Umberto Eco, quel poco che ho fatto di televisione l’ho fatta con Carlo Freccero; sicuramente il venerato maestro del mio rapporto con l’editoria si chiama Gian Arturo Ferrari, con cui ho avuto la fortuna di lavorare per tanti anni e da cui ho imparato molto.

Tu il passaggio dallo stato di solito stronzo a venerato maestro lo hai già fatto
Si, essendo probabilmente io in questo momento di passaggio, spero, da solito stronzo al venerato maestro, ho la fortuna in questa fase di lavorare in Mondadori con la nuova generazione di editor; Mondadori in questo momento ha una struttura editoriale fortissima perché fatta di quarantenni, io lavoro con tutti e sono il consulente di tutti, insomma sono lo zio vecchio e già un po’ rincoglionito di questi. Te li dico in ordine rigorosamente alfabetico, così non se ne ha a male nessuno: Anzelmo, Carabba, Gelsumin e Treves, che sono la struttura editoriale di tutta la produzione editoriale odierna della Mondadori. Siamo nell’ordine dei quarantenni, alcuni ancora più giovani, io ho la fortuna di lavorare con loro e c’è un po’ della mia esperienza e la loro grande energia, è un connubio che funziona benissimo.

Ultimamente con il Comune di Modena sei protagonista di una originale iniziativa editoriale
Si chiama Il Dondolo, è la casa editrice digitale del Comune di Modena.

Solo digitale?
Viaggia su un circuito distributivo e su una piattaforma che digitalizza più di cinquemila biblioteche scolastiche, universitarie, pubbliche e tutte quelle di istituti italiani all’estero; non c’è alcun modello economico di business, gli autori scrivono gratis. Ci aiuta un po’, pensa tu, una banca,. La Bper. Sono matti per i libri, sponsorizzano anche lo Strega.

Il catalogo?
Io spero presto di poter pubblicare un libro sulla storia quel ragazzo americano, Aaron Swartz, che si suicida a 26 anni perché si batteva per la libertà dal copyright, l’uso gratuito della rete. Il progetto è molto ispirato a lui. Poi ho convinto i due venerati maestri modenesi, Walter Siti e Marco Santagata, a raccontare la loro formazione di grandi intellettuali e professori prima e scrittori poi: loro che si sono sempre odiati. E’ venuta fuori questa cosa molto divertente che si chiama Amici e Nemici, dove uno racconta l’altro. Ho pubblicato un quasi inedito racconto di Edmondo Berselli, l’unica sua prova narrativa scritta nel 2005 per un’occasione particolare. Ecco questa roba mi piace molto. Il Dondolo è una specie di follia, è sicuramente un unicum mondiale, ed essendo io modenese – è nota la mitomania ferrariana, pavarottiana, botturiana dei modenesi – mi metto modestamente ma non troppo in questa sequela. 


 

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