Un colpo durissimo al pontificato di Papa Francesco. Le accuse di pedofilia e stupri rivolte al cardinale George Pell, l’uomo a cui Bergoglio ha affidato la regia delle riforme economiche della Santa Sede, rischiano infatti di minare seriamente il futuro del governo del Papa latinoamericano. È la prima volta nella storia che lo scandalo degli abusi sui minori travolge una personalità così alta all’interno della Chiesa cattolica. Una vicenda ancora più grave di quella avvenuta nell’arcidiocesi di Boston nel 2002. In quel caso, infatti, il cardinale arcivescovo Bernard Francis Law fu accusato di aver coperto migliaia di casi di pedofilia commessi dai suoi preti. Considerato colpevole di aver lasciato che centinaia di sacerdoti continuassero ad abusare di minori limitandosi semplicemente a spostarli di parrocchia in parrocchia, Law fu rimosso da san Giovanni Paolo II che lo mise al riparo dalle polemiche a Roma affidandogli l’incarico onorifico di arciprete della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore. Nessuna punizione, però, da parte del Papa per il porporato che si era dimostrato a dir poco incapace di gestire la pedofilia dei suoi preti. Vicenda, quella, che travolse letteralmente l’arcidiocesi di Boston e che è stata portata poi sul grande schermo con Il caso Spotlight del regista Tom McCarthy, Premio Oscar per il miglior film nel 2016.
Nel caso di Pell, invece, è la prima volta che un cardinale viene accusato di aver commesso direttamente atti di pedofilia. Il porporato australiano è un uomo chiave del pontificato riformatore di Francesco. Nel 2010 Benedetto XVI aveva pensato proprio all’allora arcivescovo di Sydney per sostituire il cardinale Giovanni Battista Re nel ruolo di prefetto della Congregazione per i vescovi. Ma lo scandalo della pedofilia per Pell era già alle porte e i consiglieri di Ratzinger riuscirono a scoraggiare il Papa tedesco a procedere a questa nomina. Cosa sarebbe successo se Benedetto XVI avesse affidato a Pell, oggi accusato di pedofilia, la gestione delle nomine di tutti i vescovi occidentali? Il trasloco del porporato da Sydney a Roma sembrava dunque rimandato per sempre ma, appena tre anni dopo, Ratzinger si dimise. Fu allora che Pell si mosse per diventare uno dei “grandi elettori” del successore di Benedetto XVI. Nelle congregazioni generali dei cardinali che precedettero il conclave venne chiesto con insistenza a colui che sarebbe stato eletto Papa di mettere finalmente mano alle finanze vaticane e al riciclaggio del denaro che avveniva all’interno dello Ior, la banca vaticana. Scandali che avevano minato seriamente la credibilità della Santa Sede.
La fumata bianca del 13 marzo 2013 annunciò l’elezione dell’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, che sceglie di chiamarsi Francesco e che, appena tre giorni dopo, promise una “Chiesa povera e per i poveri”. Esattamente un mese più tardi, il 13 aprile, arrivò l’annuncio che il nuovo Papa aveva deciso di avvalersi di un Consiglio di cardinali per riformare la Curia romana. I nomi dei prescelti erano otto e tra essi comparve quello di Pell. Qualcuno, in Vaticano e non solo, saltò sulla sedia. Possibile che Francesco fosse all’oscuro dell’ipotesi di Benedetto XVI di portare il cardinale australiano a Roma poi accantonata a causa delle gravissime accuse di aver coperto la pedofilia negli anni in cui era arcivescovo di Melbourne?
Più di qualche osservatore iniziò a temere che se il processo contro Pell fosse andato avanti avrebbe potuto minare seriamente le fondamenta del pontificato bergogliano. Ma Francesco non tornò indietro. Il Consiglio dei cardinali, che da otto successivamente diventò di nove membri con l’arrivo dal Venezuela del Segretario di Stato Pietro Parolin, iniziò a lavorare proprio alle riforme economiche della Santa Sede. Vennero subito istituite due commissioni: una specifica solo per lo Ior e un’altra per il resto della finanza vaticana. Proprio di quest’ultima faranno parte, tra gli altri, monsignor Lucio Angel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui che si riveleranno poi i “corvi” della vicenda Vatileaks 2 con i documenti riservati passati ai giornalisti perché li pubblicassero.
Il primo frutto del lavoro delle riforme fu la nascita della Segreteria per l’economia, un vero e proprio super ministero finanziario che il Papa decise di affidare a Pell, che così lasciò la guida dell’arcidiocesi di Sydney e si trasferì a Roma. Il porporato andò ad abitare in uno degli appartamenti del condominio che per un quarto di secolo ebbe tra gli inquilini l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger. Ma anche nella Città eterna Pell si fece subito notare per la sua vita decisamente poco sobria: mezzo milione di euro spesi in soli sei mesi. Il conto del “moralizzatore del Vaticano”, che Francesco ribattezzò il “ranger” per i suoi modi di fare decisi, lasciò tutti senza parole: dal sottolavello da 4.600 euro a 7.292 euro spesi per la tappezzeria, dai 47mila euro per mobili e armadi a diversi lavoretti domestici che ammontavano a ben 33mila euro. Ma tra le voci c’erano anche abiti ecclesiastici per 2.508 euro e voli, ovviamente in business class, costosissimi: 1.103 euro per andare da Roma a Londra; 1.150 euro per fare Roma-Dresda; 1.238 euro con direzione Monaco. Tutte spese rimborsate dalla Segreteria per l’economia. Intervenne direttamente il Papa che chiese a Pell di ridurre drasticamente il suo tenore di vita.
Ma nel frattempo in Australia il processo contro il porporato andò avanti. Pell dichiarò che per motivi di salute non poteva affrontare il viaggio da Roma a Sydney, ma accettò di rispondere via webcam alle accuse che gli rivolgevano i magistrati. “Non sono qui a difendere l’indifendibile”, ribattè il porporato rispondendo alle domande degli accusatori del suo Paese mentre 14 vittime dei preti australiani protetti da Pell accompagnate dai loro famigliari assistettero in diretta, a Roma, alla deposizione del cardinale. “La Chiesa cattolica – proseguì il ‘ranger’ – ha commesso errori enormi sulla pedofilia, ma sta lavorando per rimediare. Ha causato gravi danni in molti luoghi e ha deluso i fedeli”. Pell, che si è professato sempre estraneo alle accuse, sottolineò che sono finiti i tempi in cui la Chiesa cattolica era “fortemente propensa” ad accettare smentite da parte di chi era accusato, aggiungendo che l’istinto allora era più di “proteggere dalla vergogna l’istituzione” che le vittime abusate. Ma il cardinale non convinse la Commissione nazionale d’inchiesta australiana che da anni indaga sulle risposte delle istituzioni agli abusi sessuali sui minori avvenute negli ultimi decenni. Ancora più gravi erano state le affermazioni di Pell, due anni prima, sempre ai magistrati del suo Paese: “I preti pedofili sono come dei camionisti che molestano autostoppiste”.
Ora il porporato non potrà più fuggire alle gravissime accuse e dovrà tornare nel suo Paese per chiarire la sua posizione. Da qualche giorno in Vaticano attendevano la formalizzazione dei capi di imputazione. Francesco ha ricevuto Pell 48 ore prima che lo scandalo fosse pubblico e ha deciso di concedere al porporato “un periodo di congedo per potersi difendere”. Il cardinale, che continua a ribadire la sua innocenza e a definire “ripugnante la stessa idea di abusi sessuali”, ora tornerà in Australia. “La notizia riguardo a queste accuse – ha affermato Pell in una breve dichiarazione pronunciata nella Sala Stampa vaticana – rafforza la mia determinazione e il processo giudiziario mi darà l’opportunità di pulire il mio nome e tornare al mio lavoro a Roma”. Da parte sua, nell’omelia della messa dei santi Pietro e Paolo, i patroni di Roma, Francesco ha sottolineato che “sopportare il male non è solo avere pazienza e tirare avanti con rassegnazione; sopportare è imitare Gesù: è portare il peso, portarlo sulle spalle per lui e per gli altri. È accettare la croce, andando avanti con fiducia perché non siamo soli: il Signore crocifisso e risorto è con noi. Così, con Paolo possiamo dire che in tutto siamo tribolati, ma non schiacciati; sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati”.
Lo scandalo che ha travolto Pell arriva il giorno dopo il concistoro durante il quale il Papa ha imposto la berretta rossa anche al cardinale arcivescovo di Bamako, nel Mali, Jean Zerbo, accusato da un’inchiesta pubblicata da Le Monde di avere accesso a ben 12 milioni di euro in un conto svizzero. Posizione che il neo porporato non ha ancora chiarito. Ma anche dopo la divulgazione della notizia che un monsignore, segretario di un cardinale a capo di un dicastero della Curia romana, è stato fermato dalla Gendarmeria Vaticana dopo che è stato trovato nella sua abitazione, all’interno della Santa Sede, mentre era in corso un festino gay a base di droga. Le accuse di pedofilia e stupri per uno dei principali collaboratori di Francesco arrivano anche dopo che le due ex vittime di abusi sessuali, Peter Saunders e Marie Collins, hanno abbandonato la Pontifica Commissione per la tutela dei minori, istituita da Bergoglio, in polemica con gli insabbiamenti dei casi di pedofilia che avvengono ancora all’interno della Curia romana. Accuse rivolte in particolare al prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller. Il caso Pell è ora un punto di svolta per il pontificato di Francesco e la sua reale credibilità nell’opera di tolleranza zero per la pedofilia e per il contrasto al riciclaggio di denaro sporco.
Twitter: @FrancescoGrana