Se non fosse per i numerosi e puntuali richiami di costume, moda e avvenimenti storici degli anni Ottanta, si potrebbe pensare che L’erba del vicino, terzo romanzo dello squinzanese (come me e l’amato Nicola Arigliano) Maurizio Monte sia ambientato molti decenni prima. Un tuffo nel passato prossimo fatto di ragazzini che vincono e perdono figurine dei calciatori o che si divertono in maniera semplice giocando a calcio in strada, tanto per citare le immagini che più rimangono impresse tra quelle ricreate dalla penna dello scrittore.
Conosco l’autore e i suoi tre romanzi: Lecce-Ravenna. Andata e ritorno (2006), Passo domani (2012), e L’erba del vicino (2016), pubblicati da piccole case editrici di cui una toscana (Edizioni clandestine per il primo e il terzo) e l’altra leccese (Pensa editore per il secondo). Quando ho cominciato a leggere il suo ultimo libro non sapevo cosa aspettarmi. Sin dagli esordi infatti Maurizio Monte si è interessato di provincia e piccoli ambienti, ingigantendo, sotto la sua minuziosa lente, minuscoli luoghi in cui fatti apparentemente insignificanti diventano grandi eventi: microcosmi assurti al ruolo di universi.
Quello che stavolta mi ha stupito, favorevolmente, è una raggiunta maturità del narratore che evidentemente ha fatto incetta e tesoro di autori italiani anche a me cari, primo tra tutti Piero Chiara. In tempi come i nostri in cui la comunicazione fa di tutto per attualizzarsi accorciandosi, per appropriarsi di slang e termini colloquiali riducendosi, striminzita come il tempo che viene dedicato alla lettura, Maurizio Monte ci costringe a soffermarci ogni tanto su qualche periodo e a rileggerlo, da tanto è infarcito, tortuoso e quasi prolisso. Pur a discapito di un po’ di linearità tuttavia il suo stile non perde garbo e gentilezza, ricco del sapore rassicurante e antico di qualcosa che non c’è più se non nella pagine appunto, dei Chiara, dei Cassola, dei Prisco, gemme italiane di altre epoche, che sembrano lontane anni luce.
Lo spaccato della piccola provincia prende il largo finalmente dal Salento, dal quale l’autore era partito e al quale era approdato nei precedenti romanzi. Egli ama e pure critica questa sua terra verso la quale ha dimostrato di avere un disilluso disincanto, incapace di lodarla solamente, come spesso si limita a fare chi è nato, cresciuto e vissuto solo lì e non è disposto a segnalarne i limiti. Maurizio Monte invece ha ‘abitato’ diverse città italiane e forse questo distacco e questa opportunità di riscatto gli hanno permesso, suppongo non senza dolore, di descriverla e romanzarla con piglio critico, ironico quando non sarcastico, attraverso le abitudini o meglio le cattive abitudini dei suoi abitanti. Perché è sempre con gli uomini che se la prende, non risparmiando loro ben assestati colpi di lama quando mette in scena le loro miserie, non certo con la natura, sulla quale indulge sempre con occhio amorevole.
Nell’erba del vicino perciò, sposta la narrazione al nord, in un paesino mai nominato dell’Appennino tosco-emiliano, sfidando se stesso e il lettore con una trama e dei personaggi sempre e ovunque possibili, perché quello che gli interessa è lo scandaglio dell’animo umano, in un tempo lontano ancora dalle urgenze dei social e dalle isteriche dipendenze dai nostri smartphone.
Secondino, Velia, l’avvocato Caturano, sua moglie, i figli Pier Filippo e Barbara, Beatrice, i nonni, gli assistenti sociali, la ‘serva’ Enza, solo per citare i principali protagonisti, sono caratterizzati in modo da attirare istantaneamente simpatie o antipatie.
Molti gli spunti grotteschi, quasi comici che mettono in ridicolo, enfatizzandone ancor di più le caratteristiche negative, alcuni degli esponenti della famiglia ‘perbene’. Perché sostanzialmente si tratta di un romanzo in cui si fronteggiano su un’immaginaria trincea buoni e cattivi, ricchi e poveri, ignoranti e intellettuali.
Sorprende e diverte che al posto dell’usuale dicitura su fatti e persone puramente casuali si trovi l’irriverente epigrafe: ‘Questa è una storia vera da cima a fondo. Se doveste riconoscervi negli aneddoti che leggerete, non abbiate dubbi: è proprio di voi che sto parlando’.
Un monito, una minaccia, quasi a dire: sono in grado di smascherare le vostre debolezze e i vostri vizi, molto più che vantare le vostre virtù.