“Qual è a mia colpa? Non ho cercato speculazioni, né guadagni facili. Ho semplicemente affidato a una banca considerata sicura i miei risparmi. Per la serenità mia, di mia moglie e, soprattutto, per il futuro dei miei due figli, entrambi con uno stato di disabilità del 100 per cento”. Il signor Sandro è un vicentino sessantenne. E’ uno dei soci della Banca Popolare di Vicenza, che con i suoi soldi ha contribuito a mettere un mattoncino alla base di una struttura che considerava solidissima. Altri si sono arricchiti, lui ha perso tutto. Il suo è un caso esemplare: nessuna richiesta di fido, nessuna alchimia finanziaria, ma alla fine il conto è completamente azzerato.
E’ la sera in cui piazza dei Signori a Vicenza diventa il luogo della protesta dei risparmiatori vittime della crisi delle banche venete contro il decreto del governo Gentiloni che ha stabilito il trasferimento della parte sana a Banca Intesa. C’è rabbia, c’è dolore, c’è rassegnazione. A chiamare tutti a raccolta è il Coordinamento Associazioni Banche Popolari Venete “don Enrico Torta”. Il presidente, l’avvocato Andrea Arman: “Vogliamo difendere i diritti dei cittadini e dei risparmiatori dall’arroganza della grande finanza, bloccare il colpo di stato operato dal governo che favorisce gli amici banchieri. Noi risparmiatori siamo stati completamente dimenticati e trasferiti all’interno della bad bank (che sarebbe giusto tradurre in banca dei cattivi) e, tranne lontane ipotesi quasi miracolistiche, privati delle garanzie patrimoniali che il nostro credito avrebbe potuto avere sui beni della banca”.
Ma torniamo a Sandro, che vive nella prima periferia di Vicenza. La sua storia merita di essere raccontata. Perché c’è il rischio di considerare i gabbati di PopVicenza e Veneto Banca come un esercito indifferenziato di risparmiatori, soci, investitori, apparentemente senza volto e senza nome. Sono 119mila quelli che facevano riferimento alla Popolare di Vicenza di Gianni Zonin, sono poco meno di 90mila quelli che avevano affidato i loro soldi a Veneto Banca guidata all’epoca da Vincenzo Consoli. Un esercito di oltre 200mila persone che ora sono arrivate al capolinea finanziario. Ma ognuno di loro è una persona in carne ed ossa, con angosce e paure, frustrazione e rabbia.
“Sono socio della Popolare di Vicenza dal 1995. Dopo aver lavorato nella ristorazione, nel commercio e nella grande distribuzione, adesso sono disoccupato. I miei figli di 39 e 28 anni sono disabili e negli anni avevo messo da parte 240mila euro di risparmi pensando a loro. Sono distrutto, potrei fare qualsiasi azione, ma ho evitato finora gesti disperati per responsabilità verso mia moglie e i miei figli”. Sandro rievoca gli ultimi mesi. “Qualche speranza l’ho coltivata quando si è saputo di un Fondo riservato alle realtà più compromesse. Ho scritto alla banca spiegando la mia situazione drammatica. Non mi hanno risposto. E’ solo arrivata una lettera (quella sull’offerta di transazione lanciata a febbraio dalle due banche, ndr) in cui mi informavano di essere disposti a pagarmi 9 euro per ciascuna delle azioni che erano arrivate a valere 62,5 euro. Io ho 4mila azioni, che all’epoca dell’acquisto valevano 240mila euro. Mi hanno proposto il rimborso, ammesso che si possa chiamare tale, solo per le azioni che ho comperato dopo il 2007. E quindi solo per mille azioni. Mi davano 9mila euro, purché chiudessi la partita e rinunciassi a far causa. Non ho accettato”. E si è rivolto all’avvocato Renato Bertelle di Malo.
Sandro si sente tradito. “Io mi sono fidato della Popolare di Vicenza, tutti si fidavano. Da noi si diceva che era come mettere i soldi in ‘musina‘, nel salvadanaio. Fino al 2014 era un investimento arcisicuro. Se avessi voluto fare speculazioni avrei scelto altri titoli o sarei andato a giocare al casinò di Venezia. Hanno tradito la mia fiducia e quella di migliaia di persone come me, dopo che con i nostri soldi abbiamo fatto la loro grandezza. Ma i loro soldi sembra che non glieli vogliano toccare”. La speranza? “Se la parola giustizia ha ancora un senso, la giustizia deve impedire lo scempio di decine di migliaia di vite rovinate”.
“Mi hanno fregato dal primo all’ultimo giorno. I me gà fregà un milione di euro”. Antonio è un altro pensionato, abita nella Valle del Chiampo, per una vita ha fatto il barbiere ad Arzignano. “Ho 68 anni e quei soldi li avevo messi da parte lavorando. Una funzionaria della banca seguiva la mia posizione. Un giorno sono andato perché volevo vendere le azioni. Mi ha convinto a non farlo, mi ha dato 2mila euro di premio se le lasciavo lì e se sottoscrivevo un fido da 200mila euro. E’ stata una trappola, non mi ha detto nulla della crisi, della svalutazione imminente. Avevo un milione, adesso ho zero euro. Mi è rimasta solo la soddisfazione di scrivere il nome di quella donna e della banca in una denuncia che ho portato ai carabinieri. Ma servirà a qualcosa?”. Come lui se lo chiedono tutti quei risparmiatori che hanno già presentato denuncia a Treviso e Vicenza, mandando al collasso gli uffici giudiziari.